«Gli animali sono un soggetto imprescindibile nelle arti di ogni tempo – racconta Martina Corgnati, stimata critica d’arte – perché attraverso di loro vengono identificati simboli ed elementi essenziali per descrivere la società che caratterizza ogni epoca. Fino al XV secolo, e oltre, i bestiari sono pensati come trattati scientifici ma propongono per lo più descrizioni moraleggianti che attribuiscono agli animali caratteristiche umane, vizi e virtù. Così le belve non sono più creature naturali, o non solo, ma piuttosto simboli».
Il leone è senz’altro un protagonista nella storia dell’arte, poliedrico e onnipresente, tanto da entrare nell’inconscio collettivo.
«Una leggenda medievale reinterpretata fino al rinascimento – prosegue la critica d’arte – racconta che i leoncini nati addormentati vengono risvegliati dopo tre giorni dal ruggito del padre, riportandoli, in un certo senso, in vita. Il leone in questo caso incarna il simbolo di Cristo e della sua Resurrezione».
Queste informazioni sono contenute nel libro L’ermellino di Leonardo (Nomos edizioni), che Martina Corgnati ha scritto a quattro mani con Ananda Banerjee, un naturalista ed etologo indiano. Si tratta di dodici racconti ispirati ad altrettante opere che, grazie alla presenza degli animali, attraversano duemila anni di storia dell’arte, dal mosaico di Aquileia, nel Friuli Venezia Giulia, realizzato in epoca paleocristiana, in poi.
Ananda ha fatto la sua parte aggiungendo nozioni naturalistiche e informazioni molto aggiornate, rendendo il libro una vera chicca. I due autori ci prendono per mano mostrando il legame fra arte e natura, etica ed estetica. «Il titolo prende ispirazione dalla Dama con l’ermellino – spiega l’autrice – realizzato probabilmente tra il 1489 e il 1491, che ritrae Cecilia Gallerani che tiene in braccio un mustelide che in realtà gli esperti dicono essere un furetto. Il quadro è di incomparabile bellezza, quanto al significato, però è un vero rompicapo, un enigma rinascimentale, degno del suo eccelso autore».
Tornando al leone, Corgnati esamina un dipinto che Giotto ha realizzato fra il 1303 e il 1305 sulla parete settentrionale della Cappella degli Scrovegni a Padova, dove occupa un posto di rilievo nei 900 metri quadrati di superficie dipinta, un vero libro illustrato, che racconta una serie di eventi, dalla Cacciata di Gioacchino al Giudizio Universale. Anche Giotto, come altri autori, non aveva mai avuto la possibilità di osservare il felino in carne ed ossa, ma si è dovuto affidare all’osservazione di statue e rilievi classici, affreschi e sculture romaniche e gotiche. «L’ultimo leone d’Europa venne ucciso probabilmente nel I secolo d.C. – spiega l’autrice -, eppure tutta la cultura occidentale non ha potuto fare a meno di lui».
Un aneddoto spiega la grande passione di Martina per i felini. «Mio padre, che faceva il regista, quando ero piccola seguiva La Tv dei Ragazzi. Tra gli ospiti potevano capitare anche animali, che poi portava a casa della nonna Rosa, a Maglione, un piccolo comune vicino a Torino, dove anche io passavo molto tempo. Fra i tanti anche due leoni. Oggi, grazie alla convenzione di Washington che regola il commercio degli animali esotici, questo sarebbe, per fortuna, impossibile. Uno dei due, battezzato Pisellino, per via delle macchie che aveva sul pancino, è stato il mio compagno di giochi. Dormiva nel letto della nonna nella porzione che un tempo era del nonno, ma dato che era vedova ci stava Pisellino. Aveva paura dei galli perché da piccolo era stato beccato. Appena ne vedeva uno cercava conforto sotto la gonna nera della nonna».