A volte i libri che leggiamo nascondo un percorso che non emerge dalle pagine. In alcuni casi è la stessa narrazione ad essere oggetto di curiose peripezie o, come più spesso accade, sono le querelle dopo la pubblicazione a creare un’aura di curiosità sulle stesse narrazioni. Lo sa bene Gabriele Sabatini, editor della casa editrice Carocci, che per suo acuto interesse e professionalità è andato a scovare queste curiosità editoriali. Nei suoi libri Visto si stampi. Nove vicende editoriali (Italo Svevo, 2018) e il più recente Numeri uno. Vent’anni di collane in otto libri (Minimum Fax, 2020) ritroviamo proprio quelle curiosità che hanno contribuito alla fortuna di quelle pagine.
Oggi però respingiamo il campo ad alcune pubblicazioni che hanno trovato il successo o hanno avuto a che fare con il Premio Strega.
Da dove cominciamo?
Direi di cominciare proprio dal primo anno del Premio: 1947, vince Ennio Flaiano con Tempo di uccidere, edito da Longanesi.
La vicenda del libro nasce nel dicembre del 1946. Flaiano racconta che l’editore Longanesi una sera gli chiese di scrivere un romanzo per i primi di marzo dell’anno successivo. Flaiano risponde inventandosi qualcosa, una storia in Africa, e la risposta dell’editore fu immediata: “Se comincia subito le do un anticipo”. Quando Longanesi ricevette il manoscritto il titolo era “Il coccodrillo” ma nei libri dell’editore vi erano già titoli dedicati ad animali. Sembra che Longanesi rispose “così il mio catalogo diventa un giardino zoologico!” e suggerì il titolo che conosciamo oggi.
Per la fretta di pubblicarlo, e poi partecipare alla prima edizione Premio Strega, le ultime correzioni di bozza non vengono fatte. Quell’anno Flaiano vinse il premio, a discapito di Moravia, autore che sarebbe stato favorito a detta di molti con La romana. Ci fu una grande campagna di convincimento da parte di Longanesi verso i giurati: Paolo Nelli, giornalista dell’epoca, racconta che a casa Bellonci vi erano alcuni cartelli elettorali inequivocabili, come “Donna che è savia non vota Moravia” o “Chi ha sofferto nel ventennio darà il voto solo a Ennio”. Insomma, una prima edizione premio sentita e molto vivace.
Altro titolo che ha alle sue spalle un percorso “avventuroso”?
Sicuramente I racconti di Moravia, edito da Bompiani. Era il Premio Strega 1952 e Moravia vinse l’edizione. Inizialmente ci fu una polemica sul libro da parte della critica del tempo: alcuni racconti presenti nella raccolta erano già stati pubblicati. I responsabili del Premio però chiarirono immediatamente: il libro presentato era una nuova edizione e quindi poteva tranquillamente partecipare. Arrivano poi lettere critiche a casa Bellonci: in molti indicano che avrebbe più valore dare il premio a giovani autori e poco conosciuti, come ad esempio Italo Calvino che veniva presentato con Il visconte dimezzato.
Moravia è quasi deciso a ritirare la sua opera in concorso quando lo stesso riceve una telefonata da Mario Pannunzio che gli anticipa un articolo che sarebbe uscito di lì a poco sulle colonne dell’Osservatore Romano. I libri di Moravia sarebbero stati messi all’Indice dalla Chiesa cattolica. Una informazione a cui Moravia rispose con forza ribelle, contro la censura che sarebbe arrivata: non ritirò la partecipazione al Premio ma vinse partecipando alla cinquina del Premio in cui vi erano anche Carlo Emilio Gadda e Italo Calvino. Le critiche e le illazioni tra i partecipanti diedero forza a Moravia, che in nome della libertà e contro la censura, ricevette i voti dei giurati. Questa storia è molto ben raccontata in Visto si premi. I retroscena dei premi letterari pubblicato da Edizoni Santa Caterina e presentato da Annarita Briganti.
Quindi la cronaca e alcune idee prevalgono sul giudizio letterario?
Non è sempre così. Anzi, diciamo che le critiche a volte non hanno ricevuto ascolto. Carlo Cassola e il suo La ragazza di Bube pubblicato da Einaudi vinse il Premio Strega del 1960 nonostante le feroci critiche mosse da più e più parti. Pier Paolo Pasolini lo colpì duramente per questa narrazione, Arnaldo Bocelli infierì con garbo ma precisione.
Eppure la storia raccontata da Cassola – che al tempo veniva etichettato con un certo disprezzo come il “Liala degli anni Settanta” – vinse l’edizione del Premio Strega. Era una storia vera, che lo stesso Cassola aveva sentito raccontare. L’autore voleva raccontare, oltre le vicende personali, anche le attese e le speranze deluse di una società. I lettori del Premio hanno capito e nonostante tutto il rumore contro quelle pagine lo hanno scelto e premiato.
Ma solo i vincitori del Premio Strega hanno avuto un percorso avventuroso e di successo?
No, e Lucio Mastronardi è un esempio. Partecipa con Il maestro di Vigevano pubblicato da Einaudi all’edizione del Premio Strega del 1962. Arriva ultimo, con pochissimi voti, ma rispetto ai libri in concorso ebbe un grandissimo successo di vendite. Lo aiutò molto il film che ne riprese la trama interpretato da Alberto Sordi. La pellicola permette al libro di circolare e essere conosciuto.
Certo che anche qui, non mancano le peripezie, stavolta necessarie all’autore per non rischiare le botte. la sua narrazione parla proprio di Vigevano, la sua città e il luogo in cui vive e lavora. In molti si riconosco nei personaggi descritti e non proprio a tutti piace la loro rappresentazione.
Si pensi che Calvino, dopo averlo letto, aveva dei dubbi sulla pubblicazione. Gli piaceva ma era una storia che raccontava una realtà che faceva rimanere senza fiato per la crudezza della realtà. Descrivere come ha fatto Mastronardi il boom economico, in cui una comunità è alla ricerca spasmodica di denaro e un colpo difficile da accusare.
Sta di fatto che, nonostante le ritrosie e la mancata sorsata di Strega il libro ebbe un grande successo e credo che vada assolutamente letto anche oggi.
Intervista di Gabriele Ametrano