Nell’immaginario comune, Populonia è legata a due elementi forti e caratterizzanti: gli etruschi e i paesaggi. Ed è vero: Populonia fu una delle più grandi, ricche e potenti città della Dodecapoli, fiorente grazie alle sue attività minerarie e all’industria del ferro che vi si sviluppò. E Populonia è adagiata in uno dei più splendidi contesti paesaggistici del nostro paese, il golfo di Baratti. Il modo più scenografico per arrivarci è costeggiare le pinete del parco costiero di Rimigliano e poi salire da Baratti: arrivati su, tra brani di macchia mediterranea pressoché intatti, s’aprono scorci che non hanno eguali, specialmente d’estate, quando il profumo dei pini è inebriante ed è la prima cosa che s’avverte quando ci si decide a fermarsi. Magari per ammirare lo spettacolo di un tramonto sul mare dall’alto del promontorio.
Non tutti però forse sanno che Populonia ebbe anche una seconda vita. Per arrivarci è però prima necessario parlare della prima, ovvero di quando era una città con migliaia di abitanti, il principale centro metallurgico dell’Etruria, prospero anche in epoca romana (venivano da Populonia le armi con cui i legionari di Scipione l’Africano sconfissero i cartaginesi), un frequentato porto del Tirreno (anzi: era l’unica città etrusca sulla costa), protetto da un’alta cinta di mura. All’epoca, si chiamava Fufluna (o Pupluna), e dalla dislocazione della cerchia muraria possiamo immaginare che avesse raggiunto dimensioni ragguardevoli. Poi, nel III secolo avanti Cristo, arrivarono i romani: la città cambiò volto, si adattò agli usi del conquistatore (furono costruite le terme, per esempio, e s’innalzarono templi dedicati alle divinità romane), ma cominciò a perdere la sua importanza. Il declino cominciò un paio di secoli dopo, quando Populonia s’alleò con Mario nella guerra contro Silla: l’esito della guerra civile fu favorevole al secondo, e dobbiamo immaginare che Populonia fu severamente punita, dal momento che, dagli scrittori del tempo, sappiamo d’una città fortemente ridimensionata. Nel corso dell’età imperiale la città cominciò a spopolarsi, e probabilmente già nel quinto secolo era stata quasi completamente abbandonata.
Uno scrittore di quel tempo, Claudio Rutilio Namaziano, in una sua opera intitolata De reditu suo, racconto d’un viaggio autobiografico da Roma verso la Gallia, si parla d’una Populonia dove non sono rimasti altro che una torre e un faro, “tra rovine e crolli che ricordano il destino dell’uomo”. Le stesse rovine che oggi ammiriamo nel Parco Archeologico di Baratti e Populonia. Nell’acropoli, la parte alta, è rimasta la via sacra col suo antichissimo lastricato: attorno, i resti dei templi, la piazza, una domus, l’area delle Logge, un terrazzamento dove si trovavano altri edifici, tra cui quello che è forse un santuario dedicato alla dea Venere. E si pensi che, per quanto famosa, l’acropoli di Populonia è stata scavata solo parzialmente: può darsi che in futuro il sito riservi altre sorprese. Più in basso, invece, s’adagiano le necropoli, dove si conservano diversi tipi di tombe etrusche, tra tumuli, tombe a edicola, tombe a sarcofago. Sono il modo privilegiato per conoscere usi e costumi di quest’antica popolazione.
Si diceva che Populonia ha avuto una seconda vita. Succede infatti che, nonostante secoli di decadenza e abbandono, qualche abitante sia rimasto. La grande e gloriosa città etrusca è una specie di villaggio di pescatori, che continua però a essere attaccato dai pirati saraceni. Gli abitanti non ne possono più e decidono di trasferirsi più a sud, in un’insenatura più riparata: è il IX secolo, e i “profughi” di Populonia fondano “Populino”, la “piccola Populonia” che negli anni a venire diventerà Piombino, il principale centro della zona, prima soggetta a Pisa e poi, dal 1399, capitale di una signoria indipendente, quella degli Appiani. Gli Appiani, affrancati da Pisa, decidono di dare nuova vita a Populonia, dove non era rimasto più niente: le pochissime presenze scorrono tra la torre d’avvistamento pisana costruita nel Duecento, e un monastero benedettino dedicato a San Quirico, edificato non lontano dall’antica acropoli. È l’inizio del Quattrocento e il signore di Piombino, Jacopo II Appiani, promuove la costruzione di un’imponente rocca attorno alla quale si sviluppa un piccolo borgo: tre strade parallele dove nascono case e botteghe. È la nuova Populonia quattrocentesca, quella ancora integra e che oggi ammiriamo nel suo fascino medievale.
Attorno alla via principale, cui s’accede attraversando la porta d’ingresso al borgo, si dispongono edifici bassi e sobri. In una piazzetta aggrappata a una costa del colle sorge la quattrocentesca chiesa di Santa Croce, anche lei severa, a navata unica, dall’interno spoglio: dentro c’è solo un frammento di affresco del Cinquecento, non si sa di chi sia. Un’ipotesi affascinante, anche se tutt’altro che solida e scartata da tempo dalla critica (già Enzo Carli, nel 1979, parlava di “un avanzo piuttosto rozzo”), e che quindi qui si riporta come nota di colore, vuole che sia opera di Giovanni Antonio Bazzi, detto il Sodoma, uno dei pittori più bizzarri ed eccentrici di tutta la storia dell’arte, che pare fosse grande amico di Jacopo V Appiani e qualche volta amasse trattenersi nel borgo. Dall’alto, il grande torrione della Rocca degli Appiani ancora domina la Populonia del Quattrocento.
Una seconda vita comunque effimera, dal momento che il borgo non avrebbe conosciuto ulteriori espansioni. Solo nell’Ottocento, con lo sviluppo sul mare della via della Principessa, la nuova frazione di Populonia Stazione avrebbe dato una nuova vitalità alla cittadina: ma questa è già un’altra epoca, lontana dai fasti dell’antichità. Per ricordarli, nel 1998 è stato aperto il Parco Archeologico di cui s’è detto. Ma c’è ancora tantissimo da studiare su Populonia: e nuove ricerche potranno aggiungere altre dense pagine alla storia di uno dei borghi più affascinanti della Toscana.
“Toscana da scoprire” è una collaborazione iniziata a luglio tra Informatore e Finestre sull’Arte, testata giornalistica che si occupa di arte antica e contemporanea, per raccontare ogni settimana sul sito dell’Informatore i più bei borghi toscani ancora da non perdere.