Una giornata particolare è il titolo di una trasmissione televisiva di La7 del giornalista e storico scrittore Aldo Cazzullo, che ci immerge nei giorni dì del passato che hanno fatto la storia. Fra questi non poteva può mancare il 2 giugno, quando gli italiani, ancora fra le macerie della guerra, scelsero la Repubblica, costringendo i Savoia a lasciare il Paese.
Questo l’epilogo, ma quali erano le attese e quale atmosfera si respirava nei giorni antecedenti il 2 giugno? «C’era molta incertezza, perché intanto era la prima volta che si votava a suffragio universale: è vero, c’erano già state le elezioni amministrative, ma ora tutte le donne potevano votare su una questione d’interesse nazionale. All’inizio sembrava che avesse vinto la monarchia, poi venne fuori che invece aveva vinto la Repubblica» racconta Cazzullo, che abbiamo incontrato al Teatrodante Carlo Monni di Campi Bisenzio (FI) in occasione dello spettacolo Il Duce delinquente con Moni Ovadia.

C’è chi parlò di brogli…
Subito nacquero le leggende sui brogli, ci sarà stato anche qualche episodio poco chiaro, ma non tale da sovvertire l’esito finale. Era una un mondo senza televisione e quindi il racconto era soprattutto affidato ai giornali oltre che alla radio: il “Corriere della Sera” ebbe l’intuizione di uscire con il titolo «Repubblica», per dire che in qualche modo c’era già una risposta alla guerra voluta dai fascisti.
Una volta scelta la Repubblica, l’articolo 3 della Costituzione fu una dichiarazione “antifascista”?
Questo articolo rappresenta il rovesciamento del fascismo, quando dice che tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali di fronte alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinione politica e di condizioni personali e sociali. Durante il fascismo non eravamo tutti uguali: i bianchi valevano più dei neri, i maschi delle femmine, i fascisti degli antifascisti, gli eterosessuali degli omosessuali, chi parlava italiano valeva di più di chi parlava ladino o tedesco o sloveno. Tutta la politica di Mussolini privilegiò i ricchi rispetto ai poveri, i potenti rispetto ai deboli, i padroni rispetto agli operai.
Poi cos’è successo?
In questi ultimi trenta anni c’è stata in Italia una guerra della memoria che noi antifascisti abbiamo perso, perché moltissimi italiani oggi non hanno un’opinione negativa del Fascismo e non sanno, o peggio non vogliono sapere, quello che il Fascismo ha fatto agli oppositori, alle donne, ai libici, agli abissini, agli ebrei e, con la Seconda guerra mondiale, a tutti gli italiani. Ottanta anni fa c’era da decidere da quale parte stare: se con quelli che avevano portato gli ebrei italiani ad Auschwitz o contro di loro.
Come mai oggi la figura dei Mussolini ha nuovi estimatori?
È stata costruita un’immagine di fantasia di Mussolini, come se fosse stato uno statista lungimirante, e invece arrivò a dichiarare guerre contemporaneamente all’Impero britannico, agli Stati Uniti d’America e all’Unione Sovietica. C’è chi lo dipinge come un buon padre di famiglia, mentre ha fatto chiudere e morire in manicomio suo figlio e la donna che l’aveva messo al mondo. Ancora lo ritraggono come uno che fino al 1938 le aveva azzeccate quasi tutte, ma in realtà aveva già provocato la morte di tutti i principali capi dell’opposizione: Giacomo Matteotti, Piero Gobetti, don Giovanni Minzoni, che fu ammazzato a bastonate, Giovanni Amendola, Carlo e Nello Rosselli, Antonio Gramsci. La guerra viene presentata come un impazzimento del duce, ma in realtà è l’esito naturale del fascismo, una guerra che non fu neppure preparata, perché mandò a morire in Russia o nel deserto tanti giovani senza neanche le scarpe adatte. Quando si fa il bilancio del fascismo dobbiamo ricordarci che è un bilancio fallimentare sotto ogni punto di vista.
I testimoni di quell’epoca e anche i partigiani se ne stanno andando, facendo venir meno le loro voci anche nelle scuole…
La scuola si occupa poco della guerra di liberazione. Bisognerebbe, invece, ricordare quei giovani di ogni fede politica, comunisti, socialisti, azionisti, anarchici, cattolici, moderati, persino monarchici liberali che lottarono contro il fascismo. Siamo a Campi Bisenzio, ed è doveroso ricordare Lanciotto Ballerini, ma insieme a lui c’erano tanti ragazzi di venti anni che non sapevano neanche cosa fosse un partito, ma non volevano più combattere per Hitler e Mussolini.
Il no ai nazifascisti fu detto anche dalle donne, dai civili, dagli ebrei, da molti militari, carabinieri e poliziotti, dai 600mila internati militari in Germania che preferirono restare nei lager piuttosto che combattere per Mussolini. Dissero no anche le suore – quattro suore di Firenze sono “Ggiuste fra le Nnazioni” per aver salvato decine di ebrei – e dai sacerdoti – 190 sacerdoti quelli che furono fucilati dai fascisti e 120 dai nazisti. Però tutte queste cose in Italia non si sanno e, peggio ancora, non si vogliono sapere.
Perché?
Dipende anche dal fatto che la memoria nazionale ci riguarda da vicino soprattutto quando coincide con la memoria delle nostre famiglie, e tanti hanno avuto il nonno, lo zio, il padre fascista anche dopo l’8 settembre, e invece di valutare tali scelte come obbligate – e sbagliate – perché con il fascismo erano cresciuti, viene data invece un’adesione di pancia, perché erano miloo zio, ilmio nonno, ilmio padre, e quindi in quanto tali avevano ragione loro. Si sente dire spesso questa frase: «Prima siamo stati tutti fascisti, poi tutti antifascisti».
No, non è questa la storia d’Italia, questa è una caricatura della storia d’Italia: è sempre molto difficile misurare il consenso a una dittatura quando non c’è alternativa. Certo gli antifascisti militanti erano una piccola minoranza, perché i fascisti li aspettavano sotto casa, sfasciavano loro la testa, li portavano davanti al tribunale speciale: 31 condanne a morte eseguite, 5000 persone in carcere, 30mila al confino. Certo, c’erano tantissimi fascisti convinti e la maggioranza degli italiani si rassegnò a perdere la libertà, ma al momento opportuno moltissimi scelsero la parte giusta, cioè quelli che combattevano i nazisti invasori e i fascisti.
(A cura di Marco Locci e Cecilia Morandi)