Stefania Grasso era una studentessa universitaria e viveva a Firenze, quando suo padre Vincenzo fu ucciso il 20 marzo 1989 a Locri in provincia di Reggio Calabria. Non era un caso che Stefania fosse in Calabria in quei giorni, perché era rientrata a casa proprio per il suo papà, visto che era il 19 marzo, San Giuseppe, e anche la Domenica delle Palme. Il giorno seguente gli spararono da un’auto dopo aver richiamato la sua attenzione: «Sono l’unica dei miei fratelli a non averlo visto a terra morto.
A 19 anni sono diventata adulta in un colpo. Per lungo tempo ho mantenuto il silenzio su quei fatti – ricorda -, poi ho sentito che era il momento di parlare per far conoscere chi era mio padre e i valori per cui è stato ucciso dalla ‘ndrangheta». Da quel momento ha raccontato tante volte la sua storia nelle scuole, nei circoli, ovunque fosse utile ripetere che la lotta alle mafie non è ancora finita.
Quali erano i valori di suo padre?
Era un uomo semplice, onesto, che aveva paura, ma che pensava che, per essere felici, bisognasse comportarsi bene. Quando la sua attività si era ingrandita e da semplice meccanico era passato a vendere pezzi di ricambio e poi auto e dopo ancora motori per le barche, fu messo nel mirino dalla ‘ndrangheta. La sua capacità imprenditoriale gli aveva permesso di crescere e dare lavoro a diverse persone, così arrivarono le richieste di pizzo e i taglieggiamenti. La prima volta che spararono ai locali dove svolgeva la sua attività, io avevo sette anni e mi ricordo che spiegò a noi figli che se dici solo una volta di sì alla violenza, diventi schiavo per tutta la vita. Lui credeva nella libertà.
Le minacce sono durate anni…
Ho risposto alla prima telefonata minatoria a 14 anni, subito dopo mio padre mi accompagnò dai Carabinieri per denunciare, in seguito hanno anche dato fuoco ai locali ed è stato molto difficile per lui ripartire. Nonostante ciò non si è mai arreso, finché non gli hanno sparato, uccidendolo.
Che significato ha per voi familiari delle vittime il 21 marzo?
Ripetere l’elenco dei nomi di coloro che sono morti senza alcuna colpa per il volere di altri uomini, è come ripercorrere la storia di questo Paese ed è importante far capire alle nuove generazioni che non hanno vissuto il periodo delle stragi delle mafie che l’Italia non si arrende. Noi familiari ci siamo trovati in una situazione che non avremmo voluto vivere ma, essendo stati vicini a persone coraggiose, sentiamo l’obbligo morale di non rendere vana la loro morte. Questo vale per tutti, anche per i genitori di quei bambini uccisi accidentalmente mentre stavano giocando in un campo di calci per mano delle mafie. Solo ricordandoli daremo dignità alle loro vite e trasmetteremo la capacità di resistere.
La mafia è morta?
Tutt’altro, anche se non uccide come un tempo è ancora più forte, perché può meglio avvantaggiarsi della collusione, senza dover ammazzare nessuno.
Un aiuto concreto
Anche Unicoop Firenze si mobilità contro le mafie e invita i suoi soci a farlo con un gesto piccolo, ma consapevole. Dal 16 al 29 marzo, i vini bianco e rosso etichetta “Centopassi Placido Rizzotto” del consorzio Libera Terra saranno in offerta nei 22 punti vendita Coop di maggiori dimensioni. Acquistandoli si sostiene la coltivazione vitivinicola nei terreni confiscati alla mafia. «I vini Centopassi Placido Rizzotto nascono in alcuni degli angoli più belli della Sicilia – spiega Francesco Citarda del Consorzio Libera Terra Mediterraneo -. Luoghi troppo a lungo dimenticati e umiliati, che ora rinascono grazie all’amore che uomini e donne, nel solco della cooperazione, profondono nel progetto Libera Terra».
Il 21 marzo è la Giornata della Memoria e dell’Impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie.