Un ingresso trionfale, abbracciato da ali di folla, protetto, un po’ per gioco un po’ per necessità, da una schiera di “omaccioni” in abiti da legionari. Era solo un anno fa, il 23 febbraio 2020, quando Alberto Angela faceva la sua ultima apparizione al Palazzo dei Congressi di Firenze, ospite del Salone dell’archeologia e del turismo culturale “tourismA”.
Un auditorium stracolmo, 2500 i presenti, gomito a gomito: un’immagine che, oggi, sembra un viaggio in un tempo lontanissimo, quello del mondo prima della pandemia. Ma, del resto, per un ricercatore preistorico qual è Alberto Angela, viaggiare nel tempo è cosa normale: «Fare il mio mestiere proietta indietro nel tempo e porta a vedere cose che, di solito, sono rappresentate su un affresco o chiuse in un museo. La passione è il principale propellente per muoversi nella storia».
Affidarsi alla fonte giusta
Dalla professione di ricercatore a quella di divulgatore, il passo non è stato breve ma, indubbiamente, di successo: «Quando ero chino nella savana a fare gli scavi – ha raccontato Angela -, mi dicevo che serviva “un trasportatore” che portasse a valle l’acqua per la sete di conoscenza. Conoscenza intesa non come pure nozioni, ma come modo di pensare e affrontare i problemi: cioè quello di andare alla fonte, scavare, dare le notizie giuste e documentate. E questo vale ancora di più oggi, con la pandemia. È importante affidarsi alla fonte giusta, incrociando i dati per farsi un’idea nel mare di informazione che ci sommerge. Da piccolo mi chiamavano Monsieur pourquoi (Signor perché, dal francese, ndr) e quei perché mi hanno aiutato molto».
il mestiere di ricercatore
Un mestiere, quello di indagare il passato, che cambia nel tempo e porta spesso a scoperte inaspettate, come racconta lo stesso Alberto Angela: «Nel 1989 ho scritto un libro a quattro mani con mio padre: si intitolava La straordinaria avventura dell’uomo. Ecco, studiare il nostro passato è una straordinaria avventura in cui il ricercatore è come un astronauta che viaggia fra i pianeti del passato. Significa studiare i fossili, ma anche il dna con le possibilità che oggi la ricerca offre. Significa studiare cosa gli uomini mangiavano, come si curavano o come il genere umano si è evoluto, dalla vita sugli alberi nelle foreste, all’organizzazione di una società complessa, basata su tribù di coppie di uomini e donne, non in competizione, ma in collaborazione. L’evoluzione dimostra che l’uomo e la donna hanno raggiunto quello che vediamo oggi perché lavoravano insieme a un progetto che si chiama figli, si chiama gruppo, si chiama sopravvivenza. È questo l’asso nella manica del genere umano, che è sopravvissuto e si è adattato grazie alla forza di un gruppo basato sul principio di collaborazione».
Un anno dopo
Oggi che, a un anno di distanza, quell’appuntamento annuale con il suo pubblico toscano è impossibile, Alberto Angela ha voluto recuperare l’occasione con un’intervista esclusiva affidata alla rivista “Archeologia Viva” (Giunti Editore), in cui svela il dietro le quinte del suo Nerone, a pochi giorni dall’uscita del secondo volume della trilogia che il noto divulgatore ha voluto dedicare all’imperatore più discusso della storia. Se l’incontro faccia a faccia è rimandato alla prossima edizione di “tourismA 2021”, in programma ad ottobre, l’appuntamento in libreria è previsto per fine aprile, con il volume in cui Alberto Angela si concentra sul grande incendio, facendo vivere, una a una, le giornate che hanno sconvolto il mondo dell’epoca.
Per ricostruire l’evento, l’autore si è basato non solo su dati archeologici e fonti antiche, ma si è avvalso anche della consulenza di meteorologi ed esperti del fuoco. Un racconto storico scritto con uno stile cinematografico, in grado di trasportare il lettore nel cuore di una delle più grandi tragedie dell’antichità.
Come nasce l’idea di una trilogia su Nerone?
Dell’incendio di Roma e di Nerone spesso si è parlato in maniera sommaria, producendo solo luoghi comuni. Quello che propongo al lettore in questa trilogia è invece una sorta di visita fisica per i vicoli di una città che non esiste più proprio a causa dell’incendio del 64 d.C. e che nessuno ha mai conosciuto veramente.
Che Roma era quella prima dell’incendio?
Era una metropoli caotica, cresciuta nei secoli senza un vero criterio, sovrapponendo case, quartieri, strade. Una città che potremmo definire quasi di tipo medievale, con vicoli bui in terra battuta, alti condomini costruiti quasi interamente in legno. Il viaggio nel “giorno prima” ti fa scoprire tutta la vulnerabilità e tutti i limiti di un’Urbeche pure, qualche decennio prima, con Cesare, Antonio, Ottaviano, aveva visto le grandi vicende politiche che portarono al principato.
È possibile ricostruire le cause del rogo?
Siamo in una città dove in ogni minuto può bruciare tutto. Di sicuro c’erano già stati tanti incendi, nessuno però disastroso come quello del 64 d.C. Roma all’epoca aveva un milione di abitanti, che tutti i giorni accendevano il fuoco per far da mangiare, nelle botteghe, per illuminare le strade, alimentare le terme. Un incidente banale come una lucerna caduta a terra e il fuoco, come accadde, si sarebbe “mangiato” la città.
Nerone alla fine c’entra qualcosa?
No, e c’è praticamente unanimità fra gli storici nel sollevarlo dalle accuse. Sull’imperatore furono dette tante falsità, prima fra tutte che avrebbe incendiato Roma per ricostruirla a sua immagine. In realtà lui si trovava ad Anzio, perché faceva appunto molto caldo, e non aveva interesse a far bruciare la città. Le fiamme distruggono i suoi palazzi e le sue collezioni. Senza considerare che era molto amato dalla gente e ci teneva all’appoggio del popolo. Non è coerente con alcun ragionamento pensare che sia stato lui.
Ma che giudizio storico possiamo dare di Nerone?
Traiano dirà che i migliori anni dell’impero erano stati i primi cinque dell’epoca di Nerone. Il sistema funzionava, non c’erano problemi alle frontiere, l’economia era prospera. Rimangono tanti chiaroscuri sulla sua figura e, avendo gli storici contemporanei parlato solo male di lui, è difficile ricostruirne il vero volto.