Enrica Tesio sa bene cosa sia la stanchezza. Torinese, blogger e scrittrice, con tre figli e un mutuo che lei stessa definisce inestinguibile. Tutti buoni motivi per essere stanchi che ha riassunto in Tutta la stanchezza del mondo (disponibile su piuscelta.it), pubblicato nella primavera scorsa e scritto con la mano leggera di una copywriter da quando aveva vent’anni.
Il libro parte dalla vicenda di papa Ratzinger che si dimette. Allora è proprio un tema universale?
Direi di sì. Anche se ormai dalle dimissioni del papa sono passati alcuni anni, il fatto che una personalità diciamo così internazionale abbia deciso di dimettersi è stato un messaggio molto forte. Ribadito fra l’altro anche dall’attuale papa che, intervistato in tv, ha sottolineato la fatica del vivere. Certo, la stanchezza c’è sempre stata, ma con la pandemia la questione è deflagrata.
Quanta stanchezza ci è rimasta dopo la pandemia e come è cambiata?
La stanchezza è cambiata negli ultimi anni, nell’ultimo decennio in modo più consistente; poi è arrivata la pandemia e abbiamo dovuto per forza fare i conti con le sovrapposizioni di luoghi e ruoli, con lavoro e scuola che entravano in casa e la casa che diventava a seconda dell’ora del giorno palestra o ristorante. Tant’è che ora per riposarti devi uscire di casa anziché rientrarci. Viviamo un momento significativo rispetto alla distribuzione e all’alternanza degli spazi, complice il rapporto con web e social che spesso danno la sensazione di intrattenerci e vivere momenti di comunità senza averli veramente. Siamo passati da essere animali sociali ad animali domestici. Io la vedo lì la stanchezza, una variabile di solitudine edulcorata dal web che rasenta l’infelicità.
C’è una correlazione fra stanchezza e felicità?
Viviamo una sorta di dittatura della felicità, dove puoi essere felice, se lo vuoi. In America è un diritto costituzionale e questa visione obbligatoriamente ottimistica della vita sta arrivando anche da noi. Credo che sia un approccio che toglie valore a problematiche più serie e alimenta la stanchezza, per cui arrivi alla sera stanco di aver provato ad essere felice tutto il giorno e in più depresso, perché se non ci sei riuscito è colpa tua. Sarebbe meglio recuperare la complessità delle esperienze della vita, il fatto che la felicità è un accidente occasionale e non può essere l’obiettivo di un piano quinquennale.
Nell’anno c’è una stagione più “stancante” di un’altra?
Io sono fan dell’autunno, il momento in cui tutto riparte – scuola compresa – mentre trovo faticosa l’estate. Richiede uno sforzo di pianificazione aggiuntiva, ancora di più quest’anno che riparte tutto e possiamo riorganizzare il Tetris (noto gioco basato sugli incastri, ndr) dei centri estivi, delle vacanze e di chi sta con chi. Meglio comunque della scorsa estate: con il mio compagno e i bambini siamo partiti in aereo con una documentazione spessa come l’enciclopedia Treccani! Impossibile non stancarsi.
Figli e stanchezza: che legame c’è?
Purtroppo viviamo l’era del “se non hai figli non puoi capire” e si è sviluppata una sorta di antitesi fra donne con figli e donne senza figli. In realtà credo ci sia una cosa che chi non ha figli fatica di più a capire ed è la paura pazzesca che nutri per quello che di male gli potrebbe capitare.
Qual è a suo avviso la stagione della vita più faticosa?
Fino a poco tempo fa avrei risposto che è la “quarantolescenza” (Tesio ha ribattezzato così in un suo spettacolo di qualche anno fa quella fase della vita che il mondo chiama maturità e che invece si rivela essere una nuova adolescenza, ndr), invece presentando il libro ho scoperto che la stanchezza accomuna persone più grandi, magari in pensione, e tanti giovani, avviliti dalla stanchezza dell’aspettativa. Proprio perché la stanchezza maggiore è quella che deriva dal dover affrontare tutto da soli.
Da “esperta di stanchezza”, come si risolve la questione?
Aprendosi agli altri anziché chiudendosi in noi stessi, frequentando le persone, curando le amicizie perché la stanchezza condivisa è molto meno pesante e possiamo anche finire a riderne insieme. E poi con la contemplazione: se il settimo giorno Dio si riposò, fu soprattutto per guardare quello che aveva fatto. Così possiamo fare noi, nel bene e nel male.