Docente di Sociologia dei media all’Università Iulm di Milano, Vanni Codeluppi è uno degli studiosi che più ha analizzato l’effetto della mediatizzazione del cibo sui nostri comportamenti.
«I media, vecchi e nuovi, hanno sposato il cibo, che è diventato re di trasmissioni tv, social, scatti fotografici – spiega –, condizionando certamente i consumatori perché mostrano cibo ovunque e lo rendono onnipresente. Se da un lato questo abuso dei media crea un’indigestione “visiva”, dall’altro lato è anche positiva perché ha affinato lo sguardo e lo spirito critico: il consumatore è più informato e più esigente».
Il cibo da solo, quindi, non basta più?
La cura del piatto è parte del piatto stesso, le informazioni sulla confezione sono il suo biglietto da visita perché il prodotto sia credibile e selezionato fra i mille simili sullo scaffale. Diciamo che il prodotto nudo e crudo non basta più, ma deve viaggiare con un corredo informativo, estetico ed etico che guida le scelte del consumatore, anche quando spegne la tv e va a fare la spesa in carne e ossa e con il carrello.
L’immagine sta divorando il gusto del cibo?
Certo, c’è il rischio che questa ostentazione di cibo metta in secondo piano l’esperienza vera, fatta di tatto, gusto, valore nutritivo. Il cibo, quello reale, richiede un impegno di tutti i sensi e oggi occorre riequilibrare tutti questi piani e mettere cibo buono nel primo luogo dove deve stare: nel piatto, a tavola, in frigo e nei momenti che dedichiamo a un rito quotidiano da cui trarre soddisfazione e benessere.
C’è qualche aspetto positivo in questa mediatizzazione del cibo?
Di buono c’è che questa continua circolazione e condivisione di cose da mangiare rimette al centro la convivialità: non si mangia solo per riempire la pancia, da sempre il cibo è legato a una dimensione di relazione sociale, di scambio di emozioni e identità. Il cibo è identità e il nostro Paese ne è un esempio per eccellenza.