Michela Marzano: perché serve ancora l’8 marzo?

L'opinione di Michel Marzano, scrittrice e filosofa

C’è chi dice che il patriarcato non esiste più, e pretende che si tratti di una nozione ormai vecchia e antiquata, legata a quella (altrettanto vecchia e antiquata) di capofamiglia. E siccome in Italia, nel 1975, il concetto di capofamiglia è stato cancellato dal Codice civile, non avrebbe senso – sostengono alcuni – continuare a parlare di patriarcato quando si vogliono affrontare temi complessi e delicati come la parità di genere (che è ancora una chimera) o la condizione femminile (che, stando anche agli ultimi dati Istat, non migliora mai davvero né a livello di occupazione, né a livello salariale, né a livello di rappresentazione in posizioni dirigenziali). Ma di patriarcato sono intrisii costumi, le mentalità e la cultura: se ne fossimo veramente usciti, ci sarebbero meno discriminazioni, meno violenze, meno pregiudizi.

Il patriarcato, d’altronde, non è qualcosa di statico: è un sistema dinamico che si adatta e cambia pelle, insinuandosi costantemente nelle pieghe della quotidianità. Dietro l’idea secondo cui la donna sarebbe una creatura fragile che necessita di protezione, c’è il patriarcato. Dietro gli stereotipi della “brava moglie” o della “mamma perfetta”, c’è il patriarcato.

Dietro la tendenza a considerare una ragazza come responsabile delle violenze sessiste e sessuali che subisce – se l’è cercata, poteva pensarci prima, poteva non uscire da sola e non ubriacarsi – c’è il patriarcato. È questo il sistema che alimenta la virilità tossica, e quindi poi anche l’idea secondo cui la donna appartiene all’uomo: deve restare accanto al compagno o al marito qualunque cosa accada; non può riprendersi la libertà; non può rivendicare autonomia o indipendenza.

È questo il fil rouge che lega e nutre gli stereotipi di genere che continuano a permeare l’educazione e che non vengono sufficientemente decostruiti per lasciare spazio a una diversa costruzione delle relazioni affettive e delle identità.

Ancora oggi, si sente ripetere che il motivo per cui nei dibattiti pubblici o in tv ci sono poche donne è che non credono abbastanza in loro stesse. Ancora oggi, una donna che alza la voce viene liquidata con battutine sull’utero o sul ciclo. E quando arriva la menopausa, la società considera le donne “scadute”, inutili perché non più riproduttive.

È il patriarcato che sorregge la maggior parte delle disuguaglianze, eredità di secoli in cui le donne sono state confinate all’interno della sfera privata, escluse dalla vita pubblica e sottomesse al potere. Secoli di letteratura – per quanto eccellente – hanno costruito un immaginario che glorifica l’uomo e relega la donna a ruoli capricciosi o folli. Un binarismo che dai tempi di Platone oppone anima e corpo, ragione e passione, maschile e femminile.

Ma possiamo davvero accontentarci di sopravvivere all’interno di questa architettura? Quand’è che tutte e tutti cominceremo a decostruirla, realizzando che il patriarcato non è solo un problema per le donne, ma una lente che distorce le relazioni umane, impedendo la costruzione di una società realmente giusta e libera?

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