Nel suo libro intitolato Cambio di paradigma, Mauro Magatti, docente di Sociologia della globalizzazione all’Università Cattolica del Sacro Cuore, insiste sulla necessità di un modo nuovo di interpretare la realtà in chiave economica e sociale.
Perché un cambio di paradigma è indispensabile?
«Perché rischiamo di perdere il treno della storia. Siamo alla fine di una lunga crisi che ha determinato la trasformazione degli equilibri economici, sociali e politici. Inutile negarlo, non siamo più uguali a prima. La differenza la fanno la tecnologia, la rete e il modello di sviluppo che deve cambiare. Lo scambio fra finanza e consumo ci porta a una strada buia, a un modello insostenibile, totalmente opposto a quello segnato dal connubio fra sostenibilità e contribuzione. L’idea che ci può far progredire è che si possa rinunciare a profitti più alti oggi, in nome di profitti più stabili domani; questo significa abbandonare l’immaginario consumeristico e iniziare a pensarci come esseri e individui capaci di contribuire, di creare, grazie alla nostra capacità e intelligenza. In questo modo si riesce a produrre valore che non è solo economico, ma riguarda l’ambiente, le relazioni, l’educazione, insomma il mondo futuro, quello che vivranno i nostri figli. Si tratta di uscire dalla crisi immaginando condizioni migliori per loro».
È una sfida che riguarda più le persone o le organizzazioni?
«Il neoliberismo, il modello dato per vincente prima della crisi, riguardava soprattutto il modo di fare impresa, di fare ricavi, di investire economicamente. Il modello contributivo allo stesso modo riguarda sì le persone, ma anche le organizzazioni. Come singoli cittadini ci viene chiesto di smettere di essere attori passivi del mondo intorno a noi per diventare attivi e iniziare a esprimere le nostre capacità. Il cambio di paradigma parte dalla scuola, che deve formare persone con una loro sensibilità, che insegni il valore dei beni comuni e non del consumismo. Ma il tema della contribuzione è trasversale: dobbiamo passare dall’essere contribuenti, termine usato per le tasse, a contributori, persone corresponsabili del modello di sviluppo intorno a noi».
Che ruolo gioca la cooperazione in questo processo?
«Le cooperative nascono per contrastare gli effetti peggiori del capitalismo, e fra questi soprattutto lo sfruttamento dei lavoratori, per creare integrazione. Oggi la cooperazione ha un grande spazio davanti a lei, uno spazio per agire. Le cooperative di consumo, ad esempio, in rapporto alla tecnologia digitale possono essere protagoniste, insieme ai loro soci, se riescono a tornare alle origini, ripercorrendo le motivazioni per cui sono nate e allo stesso tempo guardando avanti. In un’epoca in cui la rete di relazioni virtuali e i social spopolano, chi più delle cooperative di consumo può giocare su un approccio che è sociale fin dalle origini? Anche ripensando e digitalizzando le cooperative attuali».
Qual è la via da prendere per un futuro sostenibile?
«Nella situazione attuale si aprono due strade, quella dell’individualizzazione ancora più spinta e quella della condivisione e della creazione di valore condiviso. In mezzo c’è il digitale, come spartiacque inevitabile fra il passato e il futuro, che nel primo caso può disgregare, nel secondo mettere in rete e in relazione. Nella realtà cooperativa è su questo secondo aspetto che bisogna concentrare l’attenzione. Lavorare con contributi dal basso è fondamentale anche per individuare insieme i temi davvero prioritari: consumare rispettando l’ambiente, integrare nel consumo le fasce più deboli, affiancare al consumo altre dimensioni della vita. Siamo all’inizio di un grande cambiamento, stiamo partendo, ma per arrivare dobbiamo saper immaginare il futuro».
Per “modello contributivo” si intende un’idea di società civile nella quale è fondamentale il contributo dal basso, quello cioè che ciascun individuo, insieme agli altri, può fare attivamente per la costruzione del futuro. Niente a vedere con tasse o piani pensione!