Albero della vita, albero d’oro, albero dell’amore, albero di Lucignano. Sono alcuni dei nomi che la tradizione ha attribuito a uno dei reliquiari più famosi della storia dell’arte, una straordinaria opera d’oreficeria alta due metri e mezzo, uno splendido oggetto d’oro e corallo dalla forma di un albero, unica per un reliquiario. Eppure di quest’opera straordinaria, uno dei simboli di Lucignano, si sa poco: anche gli estremi cronologici, tra il 1350 e il 1471, ci danno un’idea grossolana del periodo di realizzazione, un’epoca di grande fioritura dell’oreficeria aretina, ma ci dicono poco di preciso. A idearlo fu forse Ugolino di Vieri, uno dei più grandi orafi senesi del Trecento. Si trovava in antico nella chiesa di San Francesco: si può solo immaginare lo stupore di chi doveva vedere questa mirabile opera tardogotica all’interno del tempio, questo albero sormontato da un crocifisso e da un pellicano, con i suoi dodici rami, sei per parte, che terminavano con medaglioni e sui quali l’orefice aveva innestato dei rametti di corallo, rimandi allegorici al sangue versato da Cristo sulla croce. Uno stupore che continua a muovere gli animi di quanti oggi vedono l’Albero di Lucignano, non più nella chiesa, ma nel locale Museo Comunale. Soprattutto gli innamorati: secondo una tradizione locale, la vista dell’albero è infatti di buon auspicio per le coppie.
Lo stesso museo è una sorta di lungo racconto della storia di Lucignano: ha sede nel duecentesco Palazzo Pretorio, dove per secoli si amministrò il potere per conto della Repubblica di Siena, a cui il borgo fu soggetto fino al 1554, anno della caduta dei senesi e del passaggio di tutta la repubblica sotto il dominio mediceo, evocato dalla Fortezza Medicea che guarda il paese dall’alto, isolata sul colle situato di fronte a quello su cui sorge Lucignano. Nel museo s’alternano opere di Bartolo di Fredi, di Niccolò di Segna, di Luca Signorelli, e di altri importanti artisti senesi del Tre e del Quattrocento o di autori che lavorarono per Siena in quel tempo: l’abbondanza di opere eseguite entro la metà del Cinquecento attesta in maniera evidente il momento di massimo sviluppo del borgo.
E l’impianto stesso del borgo è rimasto inalterato: una sorta di ellissi, dominata dalle torri del Cassero, ovvero la fortezza medievale senese che doveva proteggere il borgo, e dove le strade girano in tondo creando cerchi concentrici e conducendo alle due piazze centrali, la piazza del Tribunale e la piazza della Collegiata. È su quest’ultima che sorge la collegiata di San Michele Arcangelo, uno degli edifici interamente ricostruiti in epoca medicea: caratterizzata dalla facciata non terminata, al suo interno è una sorta di piccolo museo del Seicento fiorentino, dacché vi si trovano opere di Matteo Rosselli, Onorio Marinari, Giacinto Gemignani, ovvero alcuni tra i più importanti artisti che operarono a Firenze e dintorni nel XVII secolo.
Per trovare la Lucignano senese, la Lucignano medievale più intatta, bisogna inoltrarsi nella parte più antica del borgo, tra le case di pietra che stringono i vicoli che partono da piazza del Tribunale, e arrivare al terrazzo su cui sorge la chiesa di San Francesco, con la sua facciata a strisce bianche e nere, particolarmente insolito per una chiesa francescana, e che pertanto doveva essere votata alla sobrietà: l’interno ha subito le ingiurie del tempo e si presenta, pertanto, in larga parte disadorno, ma non mancano alcune attestazioni di grande importanza, e non solo per Lucignano. Si può dunque indugiare sul trittico del senese Luca di Tommè sull’altare maggiore, dov’è riprodotto anche il castello di Lucignano all’epoca di realizzazione dell’opera, oppure sugli affreschi del Tre e del Quattrocento, tra i quali colpisce sicuramente il Trionfo della morte attribuito a Bartolo di Fredi, un tema consueto per il tempo, che ricordava ai fedeli la caducità della vita, e che qui viene declinato con le intonazioni eleganti tipiche della pittura senese (benché senza l’altrettanto tipico preziosismo: del resto si trattava pur sempre d’una chiesa francescana).
Più antiche sono però le origini di questo borgo della val di Chiana. Pare infatti che il colle fosse già abitato al tempo degli etruschi, ma sarebbe stato in seguito il console Lucio Licinio Lucullo (lo stesso famoso per i pranzi, da cui il noto aggettivo) a fondarvi un castrum, e pare che da lui derivi l’antica denominazione di Lucinianum. Risale invece al Duecento l’assetto attuale, quello del borgo fortificato sorto sulla cima di un colle collocato lungo le vie di comunicazione tra Siena, Firenze e il sud.
I Medici vi hanno poi lasciato ben evidente il segno della loro dominazione: la principale porta d’accesso al borgo, Porta San Giusto, reca un loro stemma di enormi proporzioni sopra all’arco. È da qui che, svoltando a destra, parte via Matteotti, anticamente nota come “via ricca”, perché vi si affacciavano i palazzi delle famiglie benestanti, e ancor oggi è un susseguirsi d’eleganti edifici rinascimentali. La “via povera”, ovvero l’odierna via Roma, si trovava dalla parte opposta del borgo: in salita (al contrario della “via ricca” che è invece in piano), più stretta, si snoda attraverso orti e basse case di pietra che in antico erano alloggi dei ceti più umili, e dove si trovavano le piccole botteghe degli artigiani. È tra queste strade che ogni anno si tiene la “Maggiolata”, una processione di coloratissimi carri floreali dei rioni della città, che si sfidano a chi allestisce il carro più bello: si tiene in primavera e rievoca le antiche feste che i contadini di Lucignano davano per celebrare l’arrivo della bella stagione. Ce li possiamo ancora immaginare, osservando il panorama della val di Chiana dall’alto del borgo, mentre rientrano nelle loro case dalle rigogliose campagne che circondano Lucignano.
Toscana da scoprire è una collaborazione iniziata a luglio tra Informatore e Finestre sull’Arte, testata giornalistica che si occupa di arte antica e contemporanea, per raccontare ogni settimana sul sito dell’Informatore i più bei borghi toscani ancora da non perdere.