Di colore fosco e d’oriental zaffiro: i colori della Commedia

Nel raccontare il suo viaggio attraverso i regni oltremondani, Dante, come sappiamo, utilizza una lingua ricca di possibilità espressive: nel tinteggiare scenari, paesaggi ed emozioni, il poeta non è solo un maestro di lingua, ma si fa anche maestro del disegno e del colore; un’attività a cui non era estraneo, se pensiamo a come lui stesso si figura nella Vita Nuova mentre «disegnava uno angelo sopra certe tavolette» (Vita Nuova, XXXIV, 1).

Come il pellegrino segue il suo lungo percorso di ascesa al Paradiso terrestre, così la lingua della Commedia percorre tutti i gradi della scala cromatica, dalle tinte fosche e cupe dell’Inferno ai sorprendenti toni caldi di albe e tramonti del Purgatorio, fino al chiarore opalescente del Paradiso. Solo per fare qualche esempio, è possibile osservare sin dai primi versi un’intensa trama cromatica, che si ravviva nel corso del poema: la selva in cui si smarrisce Dante è oscura, selvaggia, aspra e forte (Inf. I,2-5), di colore oscuro sono le parole affisse sulla porta dell’Inferno (Inf. III,11), di color fosco e non di fronda verde gli alberi nel bosco dei suicidi (Inf. XIII,4), di color ferrigno è l’inferno detto Malebolge (Inf. XVIII,1-2), e molte altre sono le tinte infernali che in Dante rinnovano la paura.

Uscendo fuori dalla profonda notte che sempre fa nera la valle inferna (Purg. I,44-45), il regno dove l’umano spirito si purga si apre con quel dolce color d’oriental zaffiro (Purg. I,13), che incanta nella sua dolcezza e si fa essenza di speranza e di conforto: salendo la montagna del Purgatorio, il cielo muta in bianco aspetto di cilestro (Purg. XXVI,6) e si prepara ad accogliere la parte oriental tutta rosata (Purg. XXX,23), fino alle soglie del Paradiso, dove la luce si diffonde tanto mera, iridescente e quasi bianca, che si fa custode di tutti i colori.

Le possibilità linguistiche che Dante sfrutta per pennellare di colore il suo poema sono tantissime: basti solo considerare il vocabolo colore che nella Commedia ricorre trentasette volte; al sostantivo più generico si aggiunge la vastissima gamma di chiaro-scuri e di aggettivi che esprimono le diverse cromie: per citarne solo alcuni, i più comuni nero, bianco, giallo, rosso, azzurro, fino ai latinismi cilestro, rubro, roggio, robbio e perso, che Dante definisce nel Convivio come «uno colore misto di purpureo e di nero» (Conv. IV.X,2).

La trama linguistico-cromatica che muove il pennello del Dante autore si osserva anche nell’impiego delle forme verbali: accanto al verbo colorare (Purg. XIX,15; XXII,75), che segue l’azione del disegnare nel senso proprio di ‘rappresentare graficamente un’immagine’ (Purg. XXII,74; XXXIII,68), si affiancano le forme tingere, variamente attestato, e pennelleggiare ‘miniare’ di coniazione dantesca (Purg. XI,83).

Paradiso, XXXII, 1-3, miniatura di Giovanni di Paolo, XV secolo, Ms. Yates Thompson 36, f. 189 r. Londra, British Museum. Fonte: Wikipedia

Su questa scia semantica si collocano altri verbi danteschi: scolorare, che descrive la perdita graduale di colore in seguito a una forte emozione, la stessa che scolora il viso di Paolo e Francesca (Inf. V,131), o che caratterizza l’aspetto dei corpi denutriti e disidratati dei golosi (Purg. XXIII,50); poi il verbo discolorare, usato in un contesto metaforico, si riferisce al verde dell’erba che il sole fa ingiallire e seccare (Purg. XI,116).

Interessanti sono poi i verbi cromatici parasintetici ricorrenti nel poema a più riprese: da rosso, per esempio, i verbi rosseggiare, riferito a Marte che risplende di luce rossa alle prime luci dell’alba (Purg. II,14), e arrossare, ‘diventare rosso in volto’ (Par. XVI.105; XXVII, 54); da verde, il verbo rinverdire usato al senso figurato di ‘rinnovare’ (Purg. XVIII, 105); da nero, il verbo annerare ‘farsi oscuro’ (Purg. VIII, 49; XXVII, 63); da bianco, i verbi biancheggiare e imbiancare (anche imbianchire nei commentatori) ‘diventare bianco’, con diverse attestazioni nelle tre cantiche.

L’elemento cromatico è quindi compositivo della lingua stessa, più cupo per esprimere la petrosità dell’Inferno, più tenue per l’atmosfera rarefatta del Purgatorio, brillante e lucente per la pura visione paradisiaca: tutte le figure, i paesaggi, gli stati d’animo che Dante traccia e definisce con le parole, vengono così a comporre via via delle tele, prima abilmente tratteggiate e disegnate, poi perfettamente pennellate e colorate.

( a cura di Elena Felicani)

Bibliografia

  • Anna Maria Chiavacci Leonardi, Commedia. Inferno/Purgatorio/Paradiso, Milano, Mondadori, 1994.
  • Giovanna Frosini, Dante disegnatore, in «In principio fuit textus». Studi di linguistica e filologia offerti a Rosario Coluccia in occasione della nomina a professore emerito, a cura di Vito Luigi Castrignanò, Francesca De Blasi e Marco Maggiore, Firenze, Cesati, 2018, pp. 83-92.
  • Donato Pirovano, Marco Grimaldi (a cura di), Dante Alighieri, Vita nuova, Rime, Roma, Salerno, 2015.
  • Veronica Ricotta, Il Libro dell’arte di Cennino Cennini: edizione critica e commento linguistico, Milano, Franco Angeli, 2019.
  • Vocabolario Dantesco, in elaborazione presso l’Accademia della Crusca con la collaborazione dell’Istituto CNR Opera del Vocabolario Italiano, consultabile in rete all’indirizzo www.vocabolariodantesco.it

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