Chi pensa di sapere già tutto sul mondo dei gatti, si sbaglia. Infatti c’è ancora tanto da scoprire, e molte curiosità le soddisfa Paola Valsecchi, docente di Etologia applicata a Parma, che ha dedicato al complesso mondo dei felini il suo libro Non dire gatto (ed. il Mulino).
Il nostro rapporto con loro parte da lontano: «I primi segni di relazione fra il gatto e l’uomo sono datati a circa 9500-9000 anni fa – racconta l’autrice -, ma pare che siano stati gli Egizi ad aver avuto un ruolo importante nel processo di domesticazione.
Con ogni probabilità i gatti si imbarcarono, o furono imbarcati, sulle navi commerciali che trasportavano cereali, per cacciare i topi, colonizzando così altri Paesi del Mediterraneo. Sempre a seguito dei viaggi e dei trasporti umani, si sono diffusi successivamente lungo le rotte commerciali in Oriente, arrivando in Cina e in India circa 2000 anni fa».
Il gatto di oggi sembra avere le stesse sembianze del suo lontano antenato «perché, contrariamente al cane, che nel corso della domesticazione ha subito molte modificazioni morfologiche, adattandosi alla caccia, a custodire le greggi e a farci compagnia – spiega la professoressa -, il gatto domestico è rimasto pressoché immutato per molte migliaia di anni. Il suo scopo principale era quello di cacciare i topi ed era già perfetto così.
Solo recentemente è iniziato il lavoro di selezione, per renderlo più piacevole ai nostri occhi, modificando il colore del mantello, il tipo di pelo e la taglia. I primi gatti di razza apparvero al “Cat show” che si tenne al Crystal Palace a Londra nel 1871, dove furono esposte solo cinque razze. La maggior parte di quelle note oggi (circa l’80%) sono il frutto della selezione avvenuta negli ultimi 75 anni. Rispetto alle 400 razze di cani note, sono solo 71 quelle di gatti riconosciute dalla Tica (The International Cat Association)».
Vista acuta solo di notte
Chi ha avuto un micio in casa ne conosce le straordinarie capacità, «come quella di vedere di notte, il cui segreto risiede in alcune caratteristiche strutturali e funzionali dell’occhio – continua Valsecchi -. Al contrario la visione diurna è davvero poco dettagliata e precisa: i gatti sono dicromatici, vedono bene solo il blu e il giallo, ma distinguono il viola. Forse non hanno la vista di un falco, ma non si può dire che il loro sguardo non sia magnetico.
Ci fissano con grande intensità e sanno come affinare le proprie capacità comunicative con altre specie, inclusa la nostra, proprio usando lo sguardo. È stato dimostrato che il battito lento delle palpebre con la chiusura (parziale o totale) dell’occhio è una forma di comunicazione emotiva positiva fra gatti e umani, un momento magico nell’intesa con il nostro felino».
Olfatto eccellente, gusto un po’ meno
E cosa dire della sua lingua? «È così “raspante” grazie alle papille gustative, che contengono la saliva che distribuisce sulla pelliccia quando si lecca. Questa azione meccanica abbassa la temperatura anche di 17 gradi sulla zona trattata. Se la sensibilità al gusto non è eccellente (hanno solo 470 papille rispetto alle 10mila di quelle umane), l’olfatto è 14 volte migliore del nostro.
L’odore rappresenta sicuramente un importante mezzo di comunicazione: chi ha avuto un gatto in casa sa bene che cosa significhi “marcare il territorio”, ovvero spruzzare urina in punti strategici. Il cattivo odore è dato dalla presenza di un amminoacido chiamato, appunto, felinina. Le gatte sono inoltre piuttosto prolifiche, la letteratura riporta due casi record, quello di una micia che ha partorito a 26 anni e un’altra che ha dato alla luce 19 piccoli, tutti in salute».
Il gatto in breve tempo, evolutivamente parlando, ha conquistato la nostra casa e i nostri cuori. «In Italia sono 7,3 milioni quelli che vivono in casa, ma in Francia quasi il doppio», conclude Paola Valsecchi.