Lo Scricciolo di Stephen Island (Traversia lyalli) è, o meglio era, un passeriforme incapace di volare, endemico di una minuscola isola a nord della South Island, in Nuova Zelanda. La sua storia è nota perché è stato sterminato nel 1894 in pochissimo tempo, pare da Tibbles, un gatto domestico portato dal guardiano del faro.
I primi esemplari furono scoperti proprio quando il gatto iniziò a portarli morti al padrone. In meno di un anno, la specie era già estinta. Questo caso è diventato simbolo dell’impatto devastante delle specie introdotte, in particolare dei predatori domestici, sugli ecosistemi isolani. Dello scricciolo restano solo 15 esemplari conservati in musei di storia naturale.
Un altro uccello, il Chiurlottello, un tempo presente anche in Italia, è stato dichiarato estinto nel 2024, anche se per cause diverse: la caccia e la distruzione delle paludi. È il primo caso di estinzione globale di una specie presente in tre continenti e solo il secondo di una specie europea.
«Un segnale inquietante – commenta Fausto Barbagli, curatore, insieme a Giuseppina Eva, della mostra Dal Dodo al Chiurlottello al Museo La Specola di Firenze (fino al 14 dicembre) – perché l’estinzione non colpisce più solo specie la cui diffusione è limitata a isole, ma inizia a interessare anche uccelli con ampi areali continentali».
Sempre colpa dell’uomo
Sono più di 130 le specie di uccelli scomparse in tempi storici, e dietro ogni estinzione c’è sempre l’uomo: direttamente, con la caccia e il traffico illegale, o indirettamente, con la distruzione degli habitat, l’inquinamento e i cambiamenti climatici. Il Museo La Specola conserva esemplari di circa il 10% di queste specie: reperti unici, preziosi per la ricerca e per la memoria. «Ogni esemplare è una storia, e tutte finiscono allo stesso modo. Ma servono a ricordarci cosa rischiamo di perdere».
L’Ara di Spix (Cyanopsitta spixii), per esempio, si è estinta in natura nei primi anni 2000. Nel 2022 alcuni individui allevati in ambiente protetto sono stati reintrodotti nel loro habitat. Anche il Corvo delle Hawaii (‘Alalā – Corvus hawaiiensis) si è estinto in natura dal 2002 e al momento ne sopravvivono solo pochi esemplari in cattività. In entrambi i casi, la loro sorte è molto incerta.
La mostra alla Specola affronta anche il tema della de-estinzione. Nel 2023 una compagnia americana ha annunciato di voler “resuscitare” il Dodo grazie all’ingegneria genetica.
Intanto, nel 2025 ha presentato l’Enocione, un antico canide del Pleistocene: ma, spiega Barbagli, «si tratta in realtà di lupi geneticamente modificati, somiglianti all’originale solo nell’aspetto. Operazioni che attraggono fondi e attenzione, e che potrebbero comunque portare a progressi nelle tecniche di conservazione».
Infatti, modificare il genoma di specie a rischio potrebbe renderle più resistenti alle malattie e ai cambiamenti ambientali.
A cosa servono i musei
I musei, come La Specola, custodiscono campioni antichi da cui recuperare frammenti di Dna perduti. Ma Barbagli avverte: «L’estinzione non è solo la fine di una specie, è la perdita di un pezzo di ecosistema. La vera urgenza è proteggere quello che ancora c’è».
I musei di storia naturale svolgono un ruolo fondamentale nella conservazione della memoria delle specie estinte. Non solo custodiscono gli ultimi esemplari fisici di animali scomparsi, ma raccontano storie di fragilità ecologica e responsabilità umana. Oltre al valore scientifico dei reperti, utili alla ricerca e alla conservazione, i musei hanno un compito educativo essenziale: ricordarci ciò che abbiamo perso e ciò che possiamo ancora salvare. In un’epoca segnata da cambiamenti climatici e distruzione degli habitat, sono testimoni silenziosi ma potenti, capaci di stimolare consapevolezza e azione. Proteggere la biodiversità è la vera sfida, e i musei sono alleati preziosi in questa missione.
