«I miei genitori erano entrambi fotografi. A mia mamma un giorno una rivista affidò il compito di fotografare lo sviluppo dell’embrione dei pulcini, così la facoltà di Biologia ci fornì la materia prima. Arrivate all’ultimo stadio le uova si sono schiuse, rivelando il loro prezioso contenuto per la gioia mia, di mia sorella e di mio fratello. Avevo forse sei anni e ricordo la vasca da bagno piena di pulcini. Quando iniziarono a correre per la casa, li abbiamo portati in campagna da un contadino che ne aveva altri. Passarono mesi fino a quando, a Natale, arrivò un pacco del contadino: formaggi, salumi, dolci e… un pollo! Nel sospetto che fosse uno dei nostri pulcini lo abbiamo regalato al portinaio».
A raccontare è la professoressa Emanuela Prato Previde, psicobiologa dell’Università statale di Milano, nota nell’ambiente scientifico per i suoi studi sul comportamento animale, in particolare sui cani.
La sua passione per gli animali arriva dunque da lontano: «Sempre in quel periodo andavo ai giardinetti dove vivevano alcuni gatti randagi, con una valigetta come quella di un veterinario, per curarli. Disinfettavo piccole ferite e li controllavo, uno ad uno, per vedere se stavano bene».
Scartata l’idea di diventare veterinaria per non veder soffrire gli animali, si iscrive a Biologia e conclude il suo percorso a Psicologia, iniziando un lavoro di tipo comparativo tra le diverse specie animali. Qualche anno fa la professoressa ha avviato un laboratorio di ricerca presso l’Università di Milano che si occupa di evoluzione delle capacità mentali e della relazione uomo-animale: il Canis sapiens lab.
«Collaboro con colleghi veterinari, etologi e psicologi, interessati, da prospettive differenti, a conoscere meglio le abilità mentali e relazionali del cane e il complesso legame psicologico che si forma tra persone e altri animali – spiega -. Nel laboratorio ospito i padroni con i loro cani che si offrono per partecipare alle mie ricerche. In questo modo i cittadini incontrano l’Università e io, grazie a loro, svolgo le mie ricerche arricchendomi sia professionalmente che dal punto di vista umano e canino». È un metodo di lavoro interessante, perché sono proprio le persone comuni che contribuiscono a far conoscere più a fondo una relazione che dura da migliaia di anni e che attraverso questa esperienza imparano a conoscere meglio anche il proprio cane.
«Infatti, molti padroni vengono da noi curiosi di capire quello che faccio, ma anche di conoscere ancora meglio il loro amico a quattro zampe – racconta la professoressa -. Comprendere le sue emozioni, la sua intelligenza e superare le eventuali difficoltà che a volte trovano nel capire l’animale e nel farsi capire. Oltre a partecipare ai test condividono con me anche le loro storie, proponendomi un’angolazione nuova per fare ricerca, ispirando molto le mie osservazioni e gli studi comportamentali. Mentre i cani hanno la saggezza di vedere e accettare il loro compagno umano per quello che è, non si può dire lo stesso per gli umani: c’è chi vorrebbe sapere se il suo cane è davvero intelligente e chi invece è convinto che non sia molto brillante. Non di rado restano sorpresi dai risultati. La parola intelligenza, quando ci si riferisce ad altre specie, è scivolosa: è importante rendersi conto che bisogna uscire dal nostro irriducibile antropocentrismo, avendo ben presente che quando parliamo di capacità cognitive, di emozioni e di relazioni con un animale il confronto non dovrebbe mai essere fra gli esseri umani e gli animali ma fra una specie animale, la nostra, e un’altra specie». Lo stesso Charles Darwin, scrisse: «Non c’è dubbio che la differenza fra la mente dell’uomo e quella degli animali superiori sia certamente, per quanto grande, di grado e non di genere».
( articolo informatore luglio-agosto 2017)