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A Pisa, una mostra dedicata all’artista Antonio Ligabue

Dal 26 dicembre al 10 maggio, agli Arsenali Repubblicani, di Pisa, la mostra "Ligabue. Il ruggito dell'anima". Ingresso in convezione per i soci Unicoop Firenze

«So che nessuno mi crede, e forse nemmeno tu, ma io andrò nei più grandi musei del mondo». Antonio Ligabue (1899-1965) lo disse una volta al suo giovane scopritore e poi mercante – e ancora amico, promotore e studioso – Augusto Agosta Tota, che lo incontrò per la prima volta nel 1951, quando aveva solo 13 anni, e non lo perse più di vista, creando anni più tardi una fondazione a lui dedicata.

Ed è con il patrocinio della Fondazione Augusto Agosta Tota per Antonio Ligabue, insieme al Comune di Pisa, che arriva agli Arsenali Repubblicani, dal 26 dicembre al 10 maggio, “Ligabue. Il ruggito dell’anima”. Curata da Mario Alessandro Fiori, segretario generale della Fondazione, racconta attraverso oltre 80 opere la vita, la psiche e la storia tormentata di questo  affascinante artista, attraverso i celebri autoritratti e le sue raffigurazioni di animali feroci, le tigri maestose, i leopardi, i leoni imponenti, i rapaci in azione o impegnati in lotte per la sopravvivenza.

Lotta per la sopravvivenza

«Una pittura che entra nel sangue», disse Agosta Tota, scomparso nel 2023; un artista le cui opere «con quei volti distorti dal dolore, gli animali feroci carichi di tensione vitale, le nature selvagge e visionarie – spiega Fiori -, parlano la stessa lingua di Edvard Munch, di Egon Schiele, di Oskar Kokoschka. Come Van Gogh, anche Ligabue dipingeva con la forza del sentimento, scavando dentro la materia pittorica per restituire emozioni viscerali. In un’epoca in cui l’Espressionismo attraversava l’Europa come linguaggio dell’inquietudine e della verità interiore, Ligabue – pur isolato e distante dai grandi centri culturali – ne ha saputo interpretare lo spirito con autenticità, facendo emergere, dalla sua condizione di emarginazione, una voce potente, sincera, e inconfondibilmente moderna».

Una emarginazione fatta di disgrazie, sradicamenti, solitudine, fame, miseria, precaria salute mentale, raccontate nel celebre sceneggiato Rai del 1977, protagonista Flavio Bucci e, più di recente, nel film Volevo nascondermi, per il quale il protagonista Elio Germano è stato pluripremiato.

Volpe con rapace, 1959, olio su tela- Antonio Ligabue

«Ululava / se dipingeva lupi»

Un talento travagliato che trova nella pittura un modo di esistere nel mondo; che quando dipinge un leone o una tigre, è sé stesso che mette in scena: l’artista che ruggisce contro il silenzio, che tenta di riconoscersi nello sguardo dell’animale.

Cesare Zavattini – suo amico e poi coautore dello sceneggiato Rai – racconta nel poemetto Ligabue di quel suo vivere allo stato brado nei boschi e nelle golene del Po, di un modo di identificarsi nella natura che consisteva nel “divenire animale”: «Ululava / se dipingeva lupi / ruggiva se dipingeva leoni», o ancora «si arrotava il naso contro il muro / per averlo adunco / voleva essere aquila». Dipinge con il corpo: si contorce, imita i versi e le movenze delle belve e degli animali domestici che ritrae, arrivando anche a farsi male alle mani e al volto perché, ad esempio, come un’aquila graffia e plana, ma sul muro dello stanzino in cui si è trincerato. Perché, spiega Zavattini, «forse gli animali vedono le cose quali sono / per questo tentava / di trasformarsi in loro».

Zavattini racconta di quando, portato a visitare la Cappella Sistina – dopo la guerra Ligabue cominciò a conquistare una certa fama, e nel 1961 Roma ospitò la sua prima personale –, scuotendo la testa disse che «non è pittore chi non mette in un quadro le bestie».

Nella giungla senza averla vista

La mostra agli Arsenali Repubblicani porta i visitatori nel mondo contadino padano e poi tropicale, nella giungla che Ligabue non aveva mai visto e che eppure dipinge come se l’avesse dentro d’altronde Emilio Salgari non aveva fatto altrettanto, in campo letterario, con Sandokan e il ciclo dei pirati della Malesia? , una sua giungla mentale, popolata di paure e desideri. Un dolore esistenziale e una inquietudine nei quali il pubblico – che spesso torna a vedere le sue mostre più di una volta – si riconosce in una sorta di rispecchiamento. Come scriveva Zavattini: «Se dovessi narrare in una riga / la storia di Ligabue / direi era meraviglioso come noi».

Informazioni

artika.it

Ingresso in convenzione per i soci Unicoop Firenze.

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