Post, clic, like e scroll: si apre così il sipario dei social, palcoscenico di grande interazione e collaborazione globale. Così era un tempo, forse: oggi siamo abbastanza certi che l’apparenza dei social può nascondere davvero di tutto.
Strumento di controllo, manipolazione e potere – e per questo divenuto campo di battaglia della politica -, ma anche macchina commerciale, il regno dei social mette oggi in crisi i confini della privacy, della legalità e, in fondo, della nostra identità. Nel suo libro Il lato oscuro dei social network. Come la rete ci controlla e manipola, Serena Mazzini – esperta di social media e docente alla Naba di Milano, su Instagram @serenadoe – spiega i meccanismi dietro le piattaforme, aiutando a guardare al di là dello schermo.

I social network hanno promesso connessione e libertà e invece…
E invece hanno trasformato la promessa di comunità in un mercato dell’attenzione, dove ogni gesto viene tracciato, profilato, reso potenzialmente monetizzabile. La libertà si è rovesciata in sorveglianza; la connessione in solitudine; l’autenticità in performance continua. Dietro c’è una gigantesca macchina di estrazione delle emozioni, del tempo e della fragilità umane.
Come funziona questa macchina?
L’oscurità è l’infrastruttura stessa dei social, dentro la quale siamo guidati da algoritmi che selezionano ciò che vediamo, desideriamo e persino ciò che pensiamo. L’algoritmo non amplifica ciò che è vero o utile, ma ciò che è polarizzante e funziona da innesco emotivo: così proliferano l’hate speech, il sessismo, il razzismo, le shitstorm quotidiane.
Inoltre, tutti noi utenti siamo lavoratori non pagati dei social network: ogni post e ogni clic generano valore economico per qualcun altro e alimentano un sistema in cui pochi guadagnano e noi tutti offriamo gratis tempo, attenzione e la nostra intimità.
Quali i casi “peggiori” incontrati in rete?
La sovraesposizione dei minori da parte degli stessi genitori, con una vera monetizzazione dell’infanzia. Altrettanto inquietante è quel “capitalismo della pietà”, dove il dolore diventa uno spettacolo: dai senzatetto, trasformati in gare sul “bravo povero” da premiare, alle storie di malattia o lutto ripetute ossessivamente, fino ai disturbi del comportamento alimentare trattati come uno stile di vita da emulare.
Distinguiamo fra i vari social network: partiamo da Facebook…
Opera principalmente sul piano cognitivo e ideologico: rafforza la polarizzazione, esponendoci a contenuti che confermano ciò in cui già crediamo. Si creano così vere e proprie camere dell’eco, con un meccanismo di consolidamento identitario, spesso manipolabile a fini politici o commerciali.
Instagram?
È il luogo dove l’identità si costruisce attraverso l’immagine e la desiderabilità sociale. Ci abitua a “performare” versioni idealizzate di noi stessi, producendo un senso costante di inadeguatezza e pressione estetica. L’effetto è una crescente ansia da prestazione, che colpisce soprattutto i più giovani, ma attraversa tutte le generazioni.
Il più amato dai giovanissimi…
TikTok è ancora più pervasivo: qui l’algoritmo seleziona contenuti progettati per generare coinvolgimento istantaneo. È una piattaforma che lavora sul riflesso condizionato, alimentando forme di dipendenza cognitiva ed emotiva. Per chi è in una fase di fragilità – per esempio, dopo un lutto o durante una crisi personale -, l’esperienza può diventare addirittura destabilizzante.
Forse meno conosciuto da noi è Threads.
Pur essendo più recente e apparentemente più “gentile” nella forma, si muove lungo le stesse direttrici. Dietro l’interfaccia rassicurante, si ritrovano le medesime logiche di sorveglianza e monetizzazione dell’attenzione, con un flusso continuo di dati utili alla profilazione.
Infine X (ex Twitter)
Qui la manipolazione è diventata esplicita: è emerso che il proprietario Elon Musk ha alterato l’algoritmo, creando un coefficiente privilegiato per i propri post, superando la neutralità della piattaforma. È un esempio lampante di come il potere algoritmico possa diventare potere politico, mediatico, simbolico.
Possiamo salvarci?
Dipende da che direzione scegliamo. Se iniziamo a immaginare piattaforme diverse, decentralizzate, partecipative, fondate sulla fiducia e sulla cura, allora forse i social potranno tornare a essere strumenti per connetterci, pensare insieme e cambiare il mondo.
Lessico dei social
Per Hate speech si intende qualsiasi post di incitamento all’odio (letteralmente “discorsi d’odio”), mentre
La shitstorm è una valanga di critiche e offese a commento di un post sui social (letteralmente “tempesta di merda”).
