Cosa c’è di più appagante dell’arrivare in cima a una montagna, dopo ore di difficile sentiero circondati solo da rocce e rada vegetazione, in un paesaggio quasi lunare, e trovarsi di fronte a un lago in cui si specchiano le vette? Eppure anche questi luoghi devono far riflettere, perché siamo di fronte a una testimonianza di un profondo cambiamento del paesaggio d’alta quota.
Il Lago di Val Umbrina (o Vallombrina), situato nel gruppo montuoso Ortles-Cevedale a un’altitudine di 2785 metri s.l.m., si trova nel bacino idrografico del fiume Noce e copre un’area pari a 7800 metri quadrati. È un esempio di lago di circo formatosi in seguito al riempimento con acqua di fusione di una conca scavata dall’erosione del ghiacciaio che ricopriva queste vallate e che ha cominciato il suo inesorabile ritiro a partire dalla seconda metà del XIX secolo.
L’acqua è molto ricca di limo glaciale, formato dall’erosione delle rocce da parte dei ghiacciai, che rimane sospeso nell’acqua e conferisce al lago il caratteristico colore azzurro intenso. Oggi il lago di Val Umbrina è alimentato probabilmente per la maggior parte da ghiacciai rocciosi, ammassi di detriti mescolati con ghiaccio che si muovono lentamente lungo i versanti; possiamo considerarli delle forme geomorfologiche di “resistenza”, in cui è ancora presente il ghiaccio e che fungono da potenziali habitat alternativi in cui le specie glaciali potrebbero rifugiarsi.
Quando un ghiacciaio si ritira, lascia davanti alla propria fronte conche o depressioni nel terreno che l’acqua di fusione riempie formando laghi proglaciali, in continua evoluzione e per lo più effimeri: questi laghi sono la manifestazione più tangibile del ritiro dei ghiacciai. Laghi glaciali possono formarsi anche quando il materiale detritico trasportato dai ghiacciai si accumula e forma una sorta di diga naturale che trattiene l’acqua di fusione, creando laghi da sbarramento.
L’aumento delle temperature determinate dal cambiamento climatico antropico accelera il processo di scomparsa dei ghiacciai, incrementando il numero di laghi glaciali. Il fenomeno ha profonde implicazioni ecologiche, idrologiche e geologiche.
I nuovi laghi creano nuovi habitat ma possono anche alterare l’equilibrio della biodiversità locale; le nuove condizioni (di temperatura, ossigeno, nutrienti disponibili) possono favorire specie invasive o generaliste, a scapito di quelle più specializzate per la vita in ambiente glaciale. La fusione accelerata può destabilizzare gli sbarramenti morenici, che possono cedere, causando il rilascio improvviso di grandi volumi d’acqua che si riversano a valle; inoltre l’accumulo d’acqua nei laghi glaciali influisce sulla disponibilità di risorse idriche, con impatti su agricoltura, produzione di energia idroelettrica e approvvigionamento potabile.
Con il ritiro del ghiacciaio il terreno risulta più instabile, favorendo frane, smottamenti e crolli; inoltre l’assenza del ghiaccio espone le superfici rocciose a una maggiore erosione meteorica e meccanica.
I laghi glaciali sono come cicatrici lasciate dai ghiacciai che si ritirano, testimoni del passato.
A cura di Francesca Paoli, Muse – Museo delle Scienze di Trento