«Diciamo le cose come stanno: quando c’è un femminicidio, “un uomo ha ucciso una donna”, invece spesso si dice e si scrive che quella donna è stata uccisa ma, usando il passivo, è come se l’uomo, l’assassino, fosse deresponsabilizzato. La colpa è solo sua, invece, e non del patriarcato, che resta comunque un male, ma che potrebbe sembrare un’attenuante».
Nora Bouazzouni, poco più che trentenne scrittrice e giornalista francese, il patriarcato lo combatte con le parole e con i numeri dei suoi libri. Il più famoso è Faiminisme – Quand le sexisme passe à table, uscito nel 2017, che in Francia ha sollevato un vespaio di polemiche mettendo sotto accusa lo “scicchettoso e molto snob” mondo dei ristoranti stellati e non solo. Ora il libro, presentato all’Istituto Francese di Firenze, è disponibile anche in italiano, grazie all’edizione di Le plurali.
Davvero il sessismo è in tavola?
Non ci sono dubbi che il mondo dell’alimentazione sia pieno di paradossi e contraddizioni. In ogni parte del pianeta si ritiene che le donne abbiano un dono innato per la cucina, per accudire gli altri con il cibo, ma perché allora non sono la maggioranza nei ristoranti?
Perché invece i più grandi chef del mondo sono uomini? Perché, come scriveva il sociologo Pierre Bourdieu in La domination masculine, quando un’attività tradizionalmente femminile viene svolta da un uomo, all’improvviso, tutto ciò che potrebbe sembrare banale e poco gratificante diventa qualcosa che porta prestigio, denaro e potere.
Perché ci sono così poche donne a capo di ristoranti?
È una carriera impegnativa con orari lunghi e molto stancante, ma se ci fosse una migliore assistenza all’infanzia, se le donne per l’accudimento potessero contare di più sugli uomini con cui hanno avuto figli e sullo Stato che le incoraggia ad avere bambini, ma non fornisce i mezzi materiali per accudirli, sceglierebbero questo lavoro in numero maggiore.
La discriminazione non avviene solo nel mondo della ristorazione…
Porto sempre l’esempio del couturier, con il termine al maschile pensiamo subito a un grande stilista come Yves Saint Laurent o Dior, mentre al femminile (couturière) abbiamo negli occhi la sarta del quartiere a cui portiamo i pantaloni per fare gli orli.
Torniamo al cibo: la discriminazione parte dalla vita quotidiana…
Le donne si occupano della cucina di tutti i giorni, che pare non abbia valore perché si tratta di un gesto comune e “naturale”, quando invece l’uomo si dedica eccezionalmente ad esempio al barbecue, gli elogi non si risparmiano; eppure è semplice carne alla griglia.
Uomini e donne mangiano anche in modo diverso; perché?
Quello che cerco di chiarire con i miei libri è che anche i gusti sono costruzioni sociali. In Francia gli uomini mangiano il doppio di carne rossa rispetto alle donne e bevono alcol due volte e mezzo in più. Questa differenziazione comincia nell’adolescenza, ma si protrae per tutta l’età adulta, ed è legata al tema dell’affermazione del proprio genere nella società.
Qualche esempio?
Mentre gli adolescenti maschi vengono apprezzati nel gruppo e affermano la loro virilità anche attraverso il cibo, mangiando più proteine e grassi, fra le donne è il contrario. Un cliché che si rafforza grazie alla pubblicità per cui le donne vengono rappresentate come predisposte a mangiare yogurt, carne bianca, pesce, ma anche a consumare più integratori alimentari. Perché solo se saranno sufficientemente magre, saranno desiderate.
In Francia una donna che mangia carne rossa e beve alcol come un coetaneo maschio non è ben vista, perché simbolicamente la carne rappresenta la virilità fin dalla notte dei tempi, ma anche perché è diffusa la convinzione che gli uomini abbiano bisogno di più proteine rispetto alle donne. È falso, così come non è vero che le donne hanno per natura bisogno di mangiare più frullati di mirtilli e banane o cavoli e pomodori, rispetto agli uomini.
Dunque, anche il gusto è una costruzione culturale?
Certo, scientificamente c’è consenso sul fatto che non esiste un gusto innato diverso fra uomini e donne.