Alcune settimane fa incontrai un amico che non vedevo da tempo. Dopo i soliti convenevoli, mi dice che da oltre un anno non sente più né odori né sapori. «Causa Covid?» chiedo. «Probabilmente» risponde. «Sarà una questione di tempo…» azzardo fiduciosa. «Secondo l’otorino non ci sono cure» conclude l’amico rassegnato.
Anosmia (perdita dell’olfatto) e ageusia (perdita del gusto) sono stati fra i sintomi caratteristici delle prime ondate del virus: si stima che abbiano riguardato 4 pazienti su 10 dei contagiati da Covid. Per molti si è rivelato un disturbo passeggero, per altri il problema è durato a lungo, per qualcuno, come il mio amico, non si è risolto. E non è il solo; per farsi un’idea della moltitudine di persone interessate da questo e da altri effetti che vanno sotto il cappello del Long Covid, basta scorrere i post su Facebook e su altri social dei tanti sconosciuti che si confrontano e confortano per altrimenti inspiegabili problemi di salute.
Per capire qualcosa di più mi sono rivolta a Stefano Pallanti, studioso di neuroscienze, professore della Stanford University in California e fondatore dell’Istituto di Neuroscienze di Firenze, che sin dall’inizio ha analizzato il virus nelle sue molteplici implicazioni e che sta per pubblicare sulla rivista scientifica “Journal of Psichiatric Research” uno studio sulla brain fog, quella sorta di nebbia che impedisce a molti fra i guariti dal Covid di concentrarsi e ricordare come prima del contagio.
«Gli studi hanno dimostrato che il virus colpisce a livello del sistema nervoso centrale e che i disturbi provocati dalla risposta immunitaria possono protrarsi per lungo tempo; per questo motivo i pazienti dopo molti mesi continuano a dire di essere affaticati o di non sentire gli odori, di non riuscire a concentrarsi o di avere il tinnitus, il ronzio nelle orecchie, l’acufene, solo per citare alcuni dei disturbi più comuni. Qualcuno li accusa di esagerare, di aver bisogno di un’assistenza psicologica, ma in realtà molte ricerche internazionali hanno dimostrato che il Covid comporta effetti a lungo termine».
Inoltre, la sensazione che molti hanno è che questo virus sia andato a sollecitare i punti deboli di ciascuno; parlando con Pallanti emerge che è davvero così: «Si è visto che, come è tipico dei Coronavirus, anche il Sars-Cov-2 è autoimmunogeno, ha cioè la capacità di rileggere la storia del paziente e di riattivare virus latenti, come l’Herpes simplex e Zoster (quest’ultimo genera il fuoco di Sant’Antonio, ndr), la mononucleosi, ma anche la psoriasi e altri disturbi correlati a una risposta immunitaria eccessiva che porta dunque a una condizione infiammatoria. Basta fare dei semplici esami del sangue per dimostrarlo».
Ma una volta scoperta questa correlazione che succede? Dovremo rassegnarci, come ha detto l’otorino all’amico che ha offerto lo spunto per quest’articolo? Analizzando i tanti commenti che riempiono i canali social risulta che in pochi riescono a trovare la soluzione ai propri problemi di salute e che la maggioranza dei medici non sa dare consigli utili.
«Una volta scoperto il meccanismo che provoca il disturbo, diventa possibile trovare la cura. Nel mondo si stanno pubblicando numerosi studi e abbiamo visto che sostanze come Pea (palmitoiletanolamide), Nacetilcisteina, Glutatione, già in uso ma con indicazioni terapeutiche diverse, possono dare dei buoni risultati. Così come l’echinacea o la centella, completamente vegetali, che agiscono a livello antinfiammatorio».
Alla fine dell’intervista mi torna ancora una volta in mente l’amico che non sente più gli odori, neppure quello del pannolino sporco della nipote. Si potrà fare qualcosa anche per lui? «Abbiamo visto che la fotobiomodulazione (luce laser o led che sfrutta i benefici della luce rossa con l’obiettivo di stimolare la capacità delle cellule di autoripararsi, ndr) risolve il problema in molti casi». Non resta che provare e… informare l’otorino che l’olfatto perso per il Covid si può ritrovare. Con un po’ di fiuto per la ricerca scientifica!