Che ci azzecca – si sarebbe detto negli anni Novanta – la filosofia con il cambiamento climatico, la sostenibilità e l’agricoltura? Nulla a prima vista, ma dopo aver ascoltato la lectio magistralis di Marcello Di Paola la risposta è: «Tutto, perché solo la filosofia può aiutarci a capire gli obiettivi e il senso delle scelte politiche ed economiche in termini di benessere, giustizia, futuro delle giovani generazioni. Oggi abbiamo molti mezzi e poca chiarezza di dove stiamo andando».
Di Paola, filosofo e docente all’Università di Palermo e alla Loyola di Chicago, diversi libri all’attivo sul cambiamento climatico e sulla sostenibilità, ha parlato al convegno “Coltiviamo il futuro” che si è svolto a Villa Bardini a Firenze lo scorso 15 settembre, come anteprima del G20 sull’agricoltura. «Non sarà soltanto la quantità del cibo prodotto il problema della sostenibilità – spiega Di Paola – ma anche la qualità di cosa mangiano e mangeranno gli abitanti del pianeta».
Cosa ostacola la sostenibilità del sistema alimentare?
Sono tanti i fattori che intervengono, dall’uso molto consistente di combustibili fossili per lo spostamento delle merci, con l’allungamento delle catene transcontinentali per l’approvvigionamento, all’uso della plastica per gli imballaggi, fino all’aumento per ora inarrestabile della popolazione umana, che avrà bisogno di sempre maggiori quantità di cibo.
Il processo di urbanizzazione porterà flussi di persone nelle metropoli e saranno sempre meno quelle che rimarranno a coltivare nelle campagne. Questo lascia il campo libero a pochi grandi produttori di cibo che si contano sulle dita delle mani e che favoriscono la finanziarizzazione del circuito alimentare.
I piccoli produttori stanno dunque scomparendo in alcuni Paesi?
In varie parti del mondo, nei Paesi in via di sviluppo, si sta assistendo a fenomeni di land grabbing, cioè di accaparramento di terreni di enormi dimensioni da parte di gruppi transnazionali o anche da parte di singoli Paesi. Chi viveva in quei luoghi si trova quindi privato dei terreni che permettevano la sussistenza.
Perché è importante che la questione del cambiamento climatico sia considerata prioritaria?
Perché non è solo un problema ambientale, come è stato generalmente presentato in passato, ma è anche economico e sociale. La mancanza di acqua dolce, mentre assisteremo all’innalzamento dei mari, e la riduzione delle risorse alimentari, come della biodiversità, sono legati al riscaldamento globale, che renderà ancora più profonde le disuguaglianze, sia fra le piccole e grandi imprese produttrici di cibo, sia fra le persone.
Ogni anno vengono gettate 230 milioni di tonnellate di cibo, mentre 2 miliardi di persone vivono in povertà e non possono nutrirsi come dovrebbero…
Il cibo che manca si può distinguere fra cibo perduto e cibo sprecato, il primo è quello che nei Paesi in via di sviluppo non viene prodotto per condizioni climatiche avverse o viene rovinato per problemi logistici e di trasporto, il secondo riguarda i Paesi occidentali, dove il cibo viene gettato volontariamente da chi lo produce o da chi lo consuma.
Sono due facce opposte dello stesso disequilibrio, milioni di persone non hanno di che nutrirsi, mentre altrettanti hanno la preoccupazione di mettersi a dieta. Sembra un paradosso ma questi sbilanciamenti derivano dalle giunture strutturali del sistema globale, fra cui un universo finanziario che si muove intorno al cibo, cosa che non succedeva in passato, e che è in realtà una questione di gestione del potere.
Come invertire questo processo?
Non ci sono istituzioni che possano governare o dettare regole ai grandi gruppi nelle cui mani è il destino delle risorse alimentari del mondo, perché sono loro a dettarle, è fondamentale però coinvolgerli in un ripensamento del sistema di produzione e distribuzione del cibo. Servono sinergie fra Stati e imprese, per favorire il cambiamento e raddrizzare elementi che si sono rivelati insostenibili e non riusciranno a superare il test del tempo.
Che ruolo giocano i consumatori nella sopravvivenza di produttori agricoli piccoli e medi?
I consumatori sono stati informati sull’importanza delle loro scelte per la sostenibilità e della possibilità di “votare con il portafoglio”, ma perché questo possa avere un effetto su una scala più grande di quella diretta produttore-consumatore, che è necessariamente limitata a un numero ristretto di persone, è indispensabile il coinvolgimento di chi si occupa di distribuzione del cibo. Quindi ben venga la Coop se dà spazio ai produttori del territorio.
Lei ha dedicato i suoi ultimi libri alle piante, perché?
Sono nato in una famiglia di vivaisti in Sicilia, vicino a Siracusa, e uno dei motivi per cui abbiamo cominciato a coltivare piante grasse era proprio la scarsità d’acqua: ho scoperto quindi un modo diverso di considerare il benessere vegetale, che siamo abituati a concepire in termini di crescita. Le piante grasse invece, essendo sottoposte a stress, strutturano il loro sviluppo non come crescita veloce, ma come consolidamento. Un comportamento che può essere usato come metafora della sostenibilità e come modello di sviluppo.
Quale lezione arriva dunque dalle piante?
Il mio libro Etica e politica delle piante è un tentativo di portare le piante nell’ambito della discussione filosofica, da cui di solito sono escluse perché non sono considerate entità pensanti in termini classici occidentali. In realtà le piante incarnano una sapienza geologica antichissima, sono entità viventi molto complesse che hanno sviluppato tecniche per persistere e potenziarsi da sole o collettivamente che non sono ancora state completamente studiate. Nella Costituzione svizzera è stato inserito un articolo che riconosce il valore intrinseco di tutti gli esseri viventi, fra cui anche le piante. Difendendo le piante, si difende quello che da esse deriva, cioè tutto.
Glossario
Finanziarizzazione: processo di trasformazione di un’impresa, settore o sistema economico, in cui gli aspetti produttivi vengono trascurati a favore di quelli finanziari
Gruppi transnazionali: una società o un’organizzazione è detta transnazionale, o globale, quando le società facenti parte del gruppo sono situate in paesi diversi.
Landgrabbing: l’accaparramento di terreni e risorse è in corso dal 2008 e vede fra i Paesi più esposti al pericolo quelli asiatici (Papua Nuova Guinea e Indonesia), seguiti da quelli africani (Sudan, Congo e Mozambico) e del Sud America (Brasile).