Alcuni pensatori greci e romani sostenevano che sono stati gli animali a inventare la musica e che gli esseri umani si sarebbero ispirati a loro. Sicuramente gli animali sono in grado di produrre sequenze che possiamo definire musicali, basti pensare al canto degli uccelli e a quello delle balene megattere.
Anche se dare una definizione di musica è difficile, e soprattutto lo è stabilire quali composizioni risultano gradevoli rispetto ad altre. Infatti, non solo questo è soggettivo, ma cambia anche in base all’evoluzione culturale e alle tradizioni dei vari popoli.
Ma gli animali apprezzano la nostra musica?
«Non è semplice dare risposte precise: sicuramente alcune specie sono più predisposte di altre – spiega Cinzia Chiandetti, professore associato dell’Università di Trieste -. Alcuni aneddoti sembrano non lasciare dubbi. È diventato virale il video di Snowball, un pappagallo cacatua ciuffogiallo che ballava e si dimenava al ritmo di Everybody dei Backstreet Boys. I passi di danza complessi e la capacità di sincronizzare movimento e musica hanno spinto i ricercatori a condurre osservazioni sistematiche e controllate. Hanno presentato a Snowball il brano della band manipolando i battiti al minuto, ottenendo una versione più lenta e una più veloce.
Dall’analisi della registrazione dei suoi movimenti è emerso che si sincronizzava perfettamente al ritmo, magari inventando nuove coreografie per non perdere nemmeno un battito. A ulteriore verifica delle sue capacità, gli esperti gli hanno proposto due altri classici degli anni Ottanta che hanno ritmi diversi: Another one bites the dust e Girls just wanna have fun. Anche in questo caso Snowball si è rivelato un grande coreografo dotato di uno spiccato senso del ritmo. Lo studio ha dimostrato che la danza spontanea non è una prerogativa umana».
È risaputo che la musica ha effetti positivi sugli esseri umani. E sugli animali?
«È un tema abbastanza dibattuto – prosegue la ricercatrice -. Più o meno nello stesso periodo in cui i bambini d’America si sintonizzavano su Mozart, perché pareva aumentasse la loro intelligenza, nel mondo degli allevatori si andava affermando la pratica di diffondere musica nelle stalle con lo scopo di aumentare la produzione di latte. È probabile che in entrambi i casi la musica abbia un effetto calmante, ma almeno per le mucche non abbiamo prove scientifiche circa un reale vantaggio».
Suonare, invece, della musica composta ad hoc per una certa specie è sicuramente un approccio più interessante.
«Infatti, qualcuno ha composto melodie inserendo i richiami e le emissioni di alcuni animali – prosegue la studiosa -. I gatti si strusciano sull’altoparlante che riproduce una composizione fatta di fusa, miagolii e violini, mentre i tamarini (piccole scimmie del Nuovo Mondo) si calmano ascoltando brani arrangiati su vocalizzazioni di pacificazione e, al contrario, si eccitano con quelli che riproducono i loro segnali di allarme. Queste composizioni contengono suoni che appartengono al loro mondo, ma poggiano anche su alcuni “universali musicali”.
Una nota secca sarà un invito a fermarsi, una modulazione discendente sarà consolatoria e una ascendente sarà un’esortazione all’azione. Questi “universali musicali” sono condivisi e riconosciuti sia dalle persone che da alcuni animali. Un preciso profilo melodico e armonico ci aiuta a comprendere il tono emotivo di un brano musicale, di una conversazione e di espressioni verbali come una risata, un pianto o un’esclamazione di sorpresa. Anche quando non riconosciamo consapevolmente il significato preciso di un verso emesso da un animale, il nostro cervello risponde in modo congruo con l’attivazione di aree specifiche. Per questo sono detti universali».