«Nessuna realtà umana potrebbe nascere né sopravvivere senza doni e senza scambi di doni. Neanche l’economia potrebbe nascere e vivere senza doni»: parole di Luigino Bruni, docente di Economia politica all’Università Lumsa di Roma, che molto ha scritto sul significato del dono nella nostra società.
Cosa significa veramente dono?
Il dono è il luogo della libertà, è quella dimensione della persona che si attiva quando ci sentiamo veramente liberi di fare e di dare tutto. E così, potendo fare e dare molto, siamo anche capaci di donare qualcosa. Il dono è infatti la cifra degli uomini liberi.
Qual è la relazione fra dono e mondo del lavoro?
Anche il contratto e gli scambi economici hanno un bisogno vitale di dono, sebbene il mondo del business oggi faccia di tutto per mostrarsi come l’ambito del non-dono. Pensiamo al lavoro. Tutti sappiamo che quando entriamo in un’aula o in un ufficio, se insieme al signor Rossi non entra anche Mario, non iniziamo mai a lavorare davvero.
Se, io che sono un docente, prima di entrare in classe non mi fermo un attimo, mi raccolgo, non metto da parte i miei problemi per dare il meglio di me, il mio entusiasmo, la mia voglia di vivere e la mia creatività ai miei studenti, in realtà io non sto lavorando: potrei mandare in aula un computer o proiettare un banale power point.
Ma, e qui sta il mistero del dono, l’entusiasmo, la voglia di vivere e la creatività non sono contratti, perché nessuna impresa me li può comprare: o io decido liberamente di metterli nel mio lavoro oppure non ci sono. Ed essendo faccende di libertà, sono faccende di dono.
E se decidiamo invece di non donare, che succede?
Se nel lavoro manca la partecipazione, che l’impresa non può acquistare ma solo ricevere dalla mia gratuità, l’impresa fallisce. Le aziende quindi possono comprare solo la parte meno importante del nostro lavoro – a che ora entriamo e usciamo, e i “segni” del nostro lavoro – ma non possono comprare l’entusiasmo e la voglia di vivere, che però sono le cose che servono davvero. Il problema principale, però, è che i manager non si rendono conto di quanto dono consumano senza pagarlo, perché il dono è in massima parte invisibile e parla un linguaggio opposto a quello del business. Le imprese in realtà hanno un grande bisogno del dono dei loro lavoratori.
Spesso però la generosità dei lavoratori non viene riconosciuta…
È l’impressione di essere defraudati di quanto di noi stessi mettiamo nel lavoro, una delle prime cause di malessere di molti lavoratori. Ci vorrebbero manager capaci di vedere e di riconoscere il dono. La tradizione cooperativa lo sapeva fare, spesso lo fa ancora, e quindi può ricordare a tutta l’economia che quando il contratto si mangia il dono, nel tempo si mangia la vita delle persone.