Le statistiche più recenti delle Nazioni Unite riportano che nel mondo uno studente su tre, fra i 13 e i 15 anni, ha vissuto esperienze di bullismo. Si stima che a livello mondiale 246 milioni di bambini e adolescenti sperimentino ogni anno qualche forma di violenza a scuola o episodi di bullismo. Questo fenomeno evidenzia come una percentuale significativa di ragazzi abbia difficoltà relazionali ed emotive, che si esprimono in atti di bullismo, come racconta Sara Gori, psicologa-psicoterapeuta della Psichiatria dell’infanzia e adolescenza e Neuro-riabilitazione del Meyer.
Per cominciare: cosa si intende per “bullismo”?
Il bullismo è un tipo di azione che avviene all’interno di una relazione tra pari, nella quale si mira deliberatamente a fare del male o a danneggiare; talvolta dura per settimane, mesi e persino anni, ed è difficile difendersi per coloro che ne sono vittime. Le principali caratteristiche che permettono di definire un episodio come “bullismo” sono l’intenzionalità del comportamento aggressivo, la durata delle azioni che sono ripetute nel tempo in maniera sistematica e l’asimmetria di potere fra vittima e persecutore. I comportamenti violenti che caratterizzano il bullismo sono: offese, parolacce e insulti, derisione per l’aspetto fisico o per il modo di parlare, diffamazione, esclusione per le proprie opinioni, aggressioni fisiche. Il cyberbullismo è un atto aggressivo e intenzionale più volte ripetuto sui canali social, come Instagram, WhatsApp, TikTok.
A quali campanelli di allarme prestare attenzione?
Un recente studio condotto dal Dipartimento di Scienze della formazione e Psicologia dell’Università di Firenze, la Psicologia ospedaliera e la Neuropsichiatria infantile del Meyer, ha dimostrato che le conseguenze sulle vittime hanno effetti duraturi: senso di solitudine, ritiro sociale e rifiuto verso la scuola, maggiori livelli di ansia e depressione, sintomatologia psicosomatica (mal di testa o mal di pancia). I bulli solitamente esprimono il loro disagio con comportamenti a rischio come abuso di sostanze, azioni illegali, maggiori insuccessi scolastici e professionali, relazioni centrate su dinamiche di sopraffazione.
Come intervenire?
Se sospettiamo che i nostri figli siano coinvolti in una dinamica di bullismo, è importante parlarne con loro e chiedere aiuto. I ragazzi che si trovano coinvolti nel fenomeno del bullismo sia come vittime sia come bulli mostrano un’elevata fragilità emotiva che richiede un immediato intervento da parte di professionisti, psicologi e neuropsichiatri. In particolare tale aiuto si può avere dai servizi territoriali di neuropsichiatria, a cui si può accedere tramite richiesta di visita specialistica del pediatra, che può indirizzare la famiglia il prima possibile ai servizi competenti. È molto importante anche l’aiuto dei compagni di scuola: anche se solo spettatori, possono fare la differenza nel rompere le dinamiche di sopraffazione in classe, mostrandosi apertamente contrari a tali azioni e nell’aiutare in particolare le vittime a chiedere aiuto agli adulti.
Cosa possono fare i genitori come prevenzione?
Promuovere nei figli capacità relazionali nel rispetto di sé e degli altri, quella che tecnicamente si chiama “prosocialità”, ovvero un comportamento diretto ad aiutare un’altra persona o un gruppo di persone, senza aspettarsi ricompense esterne. Bastano comportamenti semplici e quotidiani, come ad esempio: insegnare a parlare ai bambini di sentimenti, nominando le emozioni proprie e altrui, aiutarli a mettersi nei panni dell’altro, inserire la gentilezza nel quotidiano familiare, dando il buon esempio. La scuola, inoltre, ha un ruolo fondamentale, tanto che il Dipartimento di Scienze della Formazione e Psicologia dell’Università di Firenze ha ideato un progetto dedicato alle scuole, che ha portato alla nascita della piattaforma Elisa (E-Learning degli Insegnanti sulle Strategie Antibullismo) per la formazione a distanza dei docenti e il monitoraggio del bullismo e cyberbullismo (www.piattaformaelisa.it).