Un mondo disuguale

Cresce la distanza fra i pochi che hanno molto e i tanti che hanno poco. Intervista a Clara E. Mattei, docente di economia alla New School for Social research di New York

Se le disuguaglianze economiche continuano a crescere, la colpa è della mancanza di una vera democrazia economica nel mondo. Il 43% della ricchezza mondiale è nelle mani dell’1% della popolazione. In Italia ci sono 68 miliardari mentre un italiano su 4 è a rischio povertà, 1 su 10 vive in povertà assoluta. Sono solo alcune delle cifre emerse durante l’“Oxfam festival” che si è svolto a Firenze il 25 e 26 ottobre, dedicato proprio al tema delle disuguaglianze.

Secondo Clara E. Mattei, docente di economia alla New School for Social research di New York e relatrice di apertura del festival, le disuguaglianze sono la diretta conseguenza del sistema economico imperante, cioè quello capitalistico: «La logica del profitto è incompatibile con la logica dei bisogni – spiega -: dal 2020 il mondo ha assistito al raddoppio della ricchezza dei cinque miliardari più ricchi, mentre quasi cinque miliardi di persone a livello globale sono scivolate nella povertà».

Perché è successo?
Perché si è perso di vista il valore del lavoro della stragrande maggioranza delle persone a vantaggio di altri aspetti, la finanza ad esempio. Invece, è necessario riportare al centro dell’attenzione proprio il lavoro e restituire ad esso il valore che merita.

Anche le politiche fiscali favoriscono l’accumulo di capitali nelle mani di pochi?
Purtroppo sì: invece di una tassazione progressiva, come sarebbe auspicabile in un mondo migliore, dove le tasse servono a pareggiare le differenze di classe e quindi a redistribuire servizi a favore dei meno abbienti, avviene proprio il contrario. Al posto di una maggiore equità e inclusione sociale, vediamo a livello strutturale sia nel nord che nel sud del mondo un tipo di tassazione regressiva che è l’esatto opposto, al punto che i lavoratori pagano più tasse dei detentori di capitale, perché i profitti sono tassati meno dei salari. Inoltre, si aumentano per esempio le tasse sui consumi, si diminuiscono le aliquote e gli scaglioni sui redditi, il capitale non figura come reddito, se viene mantenuto come investimento non viene proprio tassato: le tasse sui profitti delle compagnie sono strutturalmente diminuiti, anche per attrarre gli investitori.

Nel suo libro Operazione austerità vi è una critica severa all’austerità: perché?
Storicamente l’austerità funziona bene per proteggere i rapporti di classe; quindi ci viene proposta come soluzione ai problemi del bilancio e dell’inflazione, ma in realtà non è mai molto efficace nel ripianare i bilanci: in sintesi, serve per tagliare la spesa sociale, ma lo Stato poi spende in altro modo quanto risparmiato. Di conseguenza la popolazione e i lavoratori si impoveriscono. Ci viene proposta come una questione tecnica, ma in realtà è una decisione politica. Non c’è un solo tipo di austerità, ma tre: quella monetaria, quella industriale e quella fiscale, tutte contribuiscono a rendere più debole e dipendente dal mercato la maggioranza della popolazione, mentre si arricchiscono gli azionisti e detentori di capitale.

Che ruolo giocano i mezzi di informazione?
Nascondono l’irrazionalità dell’attuale sistema, la parola capitalismo non viene neanche più utilizzata perché si considera quello attuale come l’unico sistema economico possibile, come se fosse un valore universale; e in tutto questo la classe sociale è rimpiazzata dall’individuo, il conflitto da un’armonia fittizia.

In alternativa propone un modello economico di tipo comunista?
La parola comunismo credo sia ormai senza alcuna attrattiva perché è stata denigrata da una realizzazione del comunismo dove non vi era democrazia economica, dove i rapporti salariali non sono mai stati aboliti, perché era comunque lo Stato a gestire l’investimento invece dei privati. Dobbiamo guardare avanti, non indietro.

Il modello cooperativo potrebbe essere una soluzione?
È una soluzione interessante, a patto che non si assoggetti alla competizione e mantenga saldi i principi che lo distinguono dalle altre forme di impresa.

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