Sempre più anziani

Fra qualche decennio la curva demografica si invertirà anche a livello globale, con un aumento della popolazione anziana a discapito di quella più giovane. Quali saranno le conseguenze? L'opinione di Daniele Vignoli, professore di Demografia dell'Università di Firenze

Partiamo da un dato. «Il mondo sta silenziosamente cambiando a causa di una bomba demografica: i tassi di natalità stanno crollando e la popolazione globale sta invecchiando rapidamente. Entro il 2050, una persona su sei avrà più di 65 anni. Sebbene la popolazione complessiva stia ancora aumentando, grazie alla crescita dei Paesi in via di sviluppo come Nigeria e Pakistan, gli esperti prevedono che raggiunga il suo picco in circa 60 anni. Il passaggio alla de-popolazione avrà enormi implicazioni per il futuro del lavoro, della sanità e delle pensioni».

Lo sostiene Ian Bremmer, noto scienziato, politico, autore e imprenditore americano, specializzato nel rischio politico globale. Allora, cosa possiamo fare al riguardo? Dobbiamo probabilmente imparare a ripensare il futuro dell’invecchiamento. Tenendo presente le tendenze attuali e nella consapevolezza che gli andamenti demografici mostreranno però i propri effetti nei decenni a seguire.

Economia d’argento

Oggi osserviamo alcuni dati. Siamo più di otto miliardi, la popolazione continua a crescere, si va radicalizzando una forte differenza tra quello che potremmo definire il mondo del benessere – che vive una profonda crisi demografica – e tutto il resto del mondo che, per il momento, continua a gareggiare per numero di abitanti. Quando gli indiani hanno recentemente superato i cinesi (l’asticella si è alzata a un miliardo e mezzo di esseri umani) a Delhi hanno festeggiato in piazza. Tutto questo – dicono però gli esperti – entro qualche decennio rallenterà pesantemente. Rendendo la questione dell’ampliamento della popolazione anziana una questione enorme e globale. Già oggi si parla della Silver economy, l’economia legata agli anziani, come della prima economia al mondo.

L’insieme delle attività economiche che rispondono ai bisogni delle persone di età superiore ai 50 anni (il valore generato dalla Silver economy) è stimato in circa 15,6 trilioni di dollari a livello globale. E si prevede che entro il 2025 rappresenterà il 32% del Pil dell’Unione europea e il 38% della sua occupazione. Numeri che ci riportano a un inesorabile assottigliamento della popolazione attiva e a un aumento globale di quella fascia di popolazione che avrà bisogno di sanità, cure, assistenza, residenze, pensioni. Dunque costi, costi e ancora costi, sostenuti da sempre meno persone.

Il caso Toscana

E da questo punto di vista, la Toscana è un caso esemplare. Attualmente, un cittadino su quattro ha più di 65 anni, il che corrisponde a circa il 25% della popolazione totale. Più precisamente, i dati del 2023 parlano di una regione che conta quasi un milione di persone di età superiore ai 65 anni, su una popolazione totale di circa tre milioni e seicentomila residenti. L’invecchiamento della popolazione è un fenomeno in crescita, con un indice di vecchiaia che nel 2023 segnala 226,1 anziani ogni 100 giovani (sotto i 15 anni). Questo dato sottolinea come la Toscana sia fra le regioni italiane con la più alta presenza di anziani, evidenziando una tendenza demografica di crescente longevità e diminuzione delle nascite.

Ma la situazione è davvero così nera? A sentire Daniele Vignoli no, anzi: «Se parliamo della popolazione italiana, non sono affatto pessimista». Vignoli è professore ordinario di Demografia all’Università di Firenze, presidente dell’Associazione Italiana per gli Studi di Popolazione e coordinatore del Dottorato nazionale in Life course research. Nel 2023 ha ricevuto l’European Demographer Award ed è attualmente il coordinatore scientifico del progetto Age-It, finanziato dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr), che mira a studiare l’invecchiamento della popolazione italiana e a sviluppare politiche per affrontare le sfide connesse.

I vantaggi dell’età

Vignoli ci ricorda che «l’invecchiamento è un fatto assolutamente positivo. Noi viviamo più a lungo e in migliore salute. Tutti noi avremo un giorno in più a settimana, tanto vivremo più a lungo. Tempo da riempire di significato, di attività. I nonni passeranno più tempo con i loro nipoti rispetto al passato. Perché tutti questi devono essere visti come effetti negativi? Anzi, l’invecchiamento della popolazione è un grande successo dell’umanità. Certo, quando si passa dall’individuo alla società, ci sono conseguenze».

Conseguenze che vanno valutate in senso globale. Vignoli fa ad esempio notare che vanno ad ingrossarsi anche le fila dei giovani non produttivi, «perché si studia più a lungo e si entra più tardi nel mercato del lavoro». Ma soprattutto è «la bassa fecondità a giocare un ruolo forte nel processo di invecchiamento. Il problema non è solo che aumentano gli anziani, ma che diminuiscono sempre di più i giovani. Quindi un modo per combattere l’invecchiamento sul lungo periodo è sicuramente investire sulla fecondità. Ed è ormai dimostrato che tutti gli incentivi e i baby bonus episodici non servono a niente. Servono due redditi, salari dignitosi e politiche strutturali e non pro natalità».

Siamo in troppi?

La domanda che sorge spontanea riguarda il fatto di sentirsi già in troppi e portatori di un’impronta troppo pesante su questo pianeta. L’invito di Vignoli è quello di vedere il problema in maniera sistemica, multidisciplinare e non frammentato. Per questo entra necessariamente in ballo anche un altro tema. «Le migrazioni – dice Vignoli – sono importantissime perché vanno a coprire quelle soglie di età che vengono lasciate scoperte dalla popolazione nativa: almeno nel breve periodo le migrazioni sono la soluzione al problema dell’invecchiamento».

Dunque una delle soluzioni al problema locale e globale dell’equilibrio demografico sta proprio in una forma di redistribuzione. Detta in parole povere, la situazione va a riequilibrarsi quando da un Paese dove la natalità è eccessiva c’è uno spostamento dove il problema è inverso. Fino a trovare un punto di equilibrio. Punto che si chiama «convergenza dei modelli riproduttivi», ovvero le popolazioni immigrate si omologano velocemente ai livelli della natalità del Paese oggetto della migrazione. «Ma questo – dice Vignoli – non può avvenire senza serie politiche di integrazione, salvo creare nuove disuguaglianze».

Un buon invecchiamento comincia da giovani

Tutte queste considerazioni ci portano comunque a ripensare il concetto stesso di vecchiaia e di invecchiamento. Nel primo caso – cosa è oggi la vecchiaia -, «la popolazione anziana non deve essere immaginata come un peso, ma come una risorsa capace ancora di dare tantissimo alla società in tanti settori, dalla cura, all’ambiente al volontariato. E per fare questo sono indispensabili delle politiche di Long life learning, (educazione permanente, non smettere mai di imparare, dunque), capace di mettere tutti in condizione di avere un ruolo sociale proattivo e di non vivere il passaggio alla pensione come un trauma».

E per quanto riguarda l’invecchiamento? «Bisogna capire che la costruzione di una buona vecchiaia dura tutta la vita, da quando si è giovani. Pensare a un buon invecchiamento a settant’anni è evidentemente troppo tardi». Il progetto Age-It riguarda proprio l’invecchiare bene in una società che invecchia. Si tratta di un progetto ambizioso e di vasta portata – anche economica, dispone di 115 milioni di euro – che mette insieme per la prima volta le eccellenze italiane che si occupano di invecchiamento. Tema inscindibile dalla questione della bassa natalità e delle migrazioni, perché «tutte le componenti demografiche sono fondamentali nelle dinamiche di invecchiamento di una popolazione».

Componenti numerose e complesse da capire, per disinnescare quella «bomba demografica» che con la crisi climatica potrebbe sconvolgere il mondo.

Iscriviti alla Newsletter

Le notizie della tua Cooperativa, una volta alla settimana. Guarda un esempio

Errore: Modulo di contatto non trovato.

Potrebbe interessarti