Allenare la propria mente. Per mettere ordine nelle emozioni, focalizzare gli obiettivi importanti, sgombrare il campo da tutti gli elementi di disturbo nel raggiungimento dei traguardi stabiliti. Il tutto con l’aiuto di un allenatore ad hoc: il mental coach. Messo a punto dall’ex giocatore di tennis statunitense Timothy Gallwey, a fine anni Sessanta coach (allenatore) della squadra di tennis dell’Università di Harvard, il mental coaching è un metodo per sviluppare capacità e competenze finalizzate alla massimizzazione della prestazione (performance) nel raggiungimento degli obiettivi prefissati. Gallwey intuì che le prestazioni sportive dei suoi giocatori erano spesso condizionate da interferenze e giudizi personali di origine mentale: silenziare questo dialogo interno potenziava la capacità di concentrazione degli atleti al punto da migliorarne le prestazioni.
Metodo di allenamento
L’equivalente di ciò che oggi si definisce la “forza della testa”, così determinante per tanti atleti di grido e non solo, che proprio a questa metodologia si affidano sempre più spesso. Dall’ambito sportivo negli anni questo metodo si è esteso a molti altri campi della vita: lo stesso Gallwey dal tennis lo ha trasferito in ambito aziendale, conquistando al business coaching multinazionali del calibro di Apple, Coca-Cola e Rolls Royce.
In forte crescita negli ultimi anni anche in Italia, questa declinazione del mental coaching può essere utilizzata tanto dai vertici aziendali quanto dai singoli lavoratori: i primi vi ricorrono di solito per la costruzione di un clima aziendale al servizio dei risultati, i secondi per intraprendere un percorso di crescita e sviluppo del proprio potenziale professionale.
Dallo sport al lavoro, metodo e tecniche dell’allenamento della mente possono risultare utili anche per dare un nuovo corso alla propria vita: sicurezza di sé, autostima, consapevolezza, capacità di scelta e maggiore autonomia sono le “competenze” che possono essere sviluppate grazie al life coach, che accompagna la persona verso il futuro desiderato. Aiutandola soprattutto a liberarsi di atteggiamenti e meccanismi ripetitivi sbagliati che inibiscono, invece di valorizzare, le proprie risorse e capacità.
Chiave di svolta
Funziona anche nel caso di rapporti di coppia connotati da elementi negativi. Proprio di come uscire da una relazione nociva parla Indipendenza, né coppia né single… ma farfalla (Bookers edizioni, 2024) della mental coach Benedetta Gherardini. «Una guida pratica – spiega – che, partendo da frammenti della mia esperienza diretta in una relazione tossica, fornisce strumenti per uscire da rapporti di coppia malsani».
Tra le chiavi indicate da Gherardini, che si è formata da mental coach negli Stati Uniti, la più importante è lavorare per stare bene con se stessi, tanto da bastarsi: «Una relazione deve portare un valore aggiunto, non completare». In seconda battuta, consiglia di non avere fretta: sentire le famose farfalle nello stomaco non è sufficiente e aprirsi troppo non è consigliabile prima di 6-8 mesi dall’inizio della frequentazione. Attenzione, infine, alle parole: «Bando a lusinghe e complimenti – conclude la mental coach -. Bisognerebbe immaginarsi il partner muto: perché ciò che conta sono solo i fatti».
Mental coach o psicologo?
Figure profondamente diverse, lavorano su piani differenti. Lo psicologo va a fondo del vissuto del paziente per individuare e affrontare le cause di eventuali disturbi patologici, il mental coach resta in superficie focalizzandosi esclusivamente sugli obiettivi personali e professionali indicati dalla persona.
Diversi anche i percorsi formativi: lo psicologo ha una laurea magistrale e un’abilitazione di Stato con conseguente iscrizione all’albo professionale; per il mental coach non esiste un albo né l’indicazione di una formazione specifica, anche se di recente la norma UNI 116011:2024 ha definito caratteristiche, requisiti e terminologia del servizio di coaching.